Gentile direttore,

Scrivo queste brevi considerazioni come presidente dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia (Aimmf).

La sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 9 luglio scorso prosegue nella linea delle precedenti decisioni assolutorie, alcune ormai definitive, che a questo punto costituiscono altrettante, stabili acquisizioni in quello che sin dall'inizio è stato definito “il caso Bibbiano”.

Abbiamo sempre scelto in passato di non commentare una vicenda tanto complessa, come dimostra la durata e l'intensità dell'istruttoria e di quest'ultimo dibattimento; crediamo però sia opportuno a questo punto esprimere alcune considerazioni, convinti che ora, da questa storia, si possano trarre alcune lezioni.

La prima lezione riguarda proprio la consapevolezza della complessità che molto spesso connota le scelte che debbono essere adottate a tutela dei minori. Una complessità irriducibile ad astratte contrapposizioni valoriali: non serve a decifrare queste storie il solo richiamo alla famiglia d'origine, quella “naturale” se si vuole. È certamente l’ambito da preferire e sostenere, però non sempre e ad ogni costo.

Talvolta, ad un’osservazione attenta, si svela luogo di maltrattamenti, altre volte di incuria grave; in questi casi una preferenza tanto incondizionata si tradurrebbe in omissione di tutela. Se tanto mobilitano gli allontanamenti dei bambini dalle famiglie di origine — in un paese come l’Italia in cui i minori in protezione sono 3,5 ogni mille minori residenti a fronte degli 11,4 della Francia e del 10,80 della Germania - dovrebbe almeno altrettanto preoccupate l’omissione di tutela in tanti gravi casi.

La stessa complessità riguarda anche le istruttorie e gli elementi raccolti nel corso dei giudizi, molto spesso costituiti dalle sole parole e dai racconti dei singoli protagonisti: narrazioni orali, comportamenti da decifrare, materiale mutevole che necessita di tante cautele nell'interpretazione, anche attraverso il ricorso a consulenze tecniche approfondite.

Questa complessità non è peculiare della “vicenda Bibbiano”, è intrinseca ad ogni giudizio che riguarda la tutela dei bambini e dei ragazzi: ogni giudizio esige specializzazione, rispetto del contraddittorio delle parti, attivazione dell’ascolto, disponibilità a vagliare le ipotesi di partenza, capacità di discernimento e di sospensione del giudizio. Sono i fondamenti dell’accertamento giudiziale: per questo dovrebbe essere discriminante la scelta di attendere l’esito dei giudizi e di evitare posizioni preconcette.

Chi invece ha — tra i politici e nei media — trattato questa vicenda amplificandola, chi ha assunto dall’inizio posizioni aprioristiche, non ha avuto alcun rispetto di questa complessità. Semplicemente, ha ritenuto di poterne fare a meno: la contrapposizione manichea, sintetizzata già nel titolo del1'inchiesta “Angeli e demoni”, autorizzava a trascurare in radice questa dimensione complessa.

Un’altra lezione andrebbe tratta da questa vicenda: una parte della comunicazione pubblica non si è riferita solo ad alcune famiglie e ad alcuni affidamenti, ma si è subito autoassegnata il ruolo di denuncia del “sistema”, cioè di un complesso di azioni predeterminate e coerenti, destinato a ripetersi. Bibbiano appunto come paradigma di un “sistema”. In questo modo di fatto è stato ampliato il perimetro del processo: non solo i singoli imputati, ma il “sistema degli affidi” in un intero territorio.

La conseguenza di questo ampliamento del quadro si misura con più chiarezza proprio nel presente: ora che gli esiti processuali accertano l’infondatezza delle accuse mosse agli imputati, cadono le imputazioni ma restano gli effetti di attacco e denigrazione sistematica dell’istituto giuridico dell'affidamento come delle persone e delle famiglie affidatarie, additati spesso come soggetti mossi da oscuri fini di lucro.

Come resta il senso di sfiducia alimentato nei cittadini nei confronti del sistema del welfare pubblico dedicato all’infanzia. La più significativa conseguenza di questa vicenda è nella perdita di fiducia da parte della collettività nel sistema del sostegno pubblico a protezione dell’infanzia e nel sistema della giustizia minorile e di famiglia. Un danno di reputazione ad un sistema pubblico che viene invece spesso considerato dagli organismi internazionali tra i più attenti e preparati.

Siamo convinti che questo danno reputazionale sia rimediabile solo nel lavoro quotidiano e nel contatto personale da parte di tutti gli operatori del sistema, come di fatto è già avvenuto in questi anni in tante situazioni in cui non si è atteso, per operare, l'esito del giudizio. Certo, sarebbe altrimenti efficace se a questo punto prendessero la parola quanti, sei anni fa, hanno alimentato il teorema del “sistema Bibbiano”; sinora però non si è sentito nulla ed è molto probabile che questo silenzio eloquente non venga interrotto.

Del resto posizioni cosi aprioristiche non accettano smentite e si nutrono solo delle loro certezze; come le profezie che si autoavverano, potranno sempre concludere che le cose vanno ora meglio proprio “grazie” alle loro denunce. Al contrario: sarebbe una lezione, a tutti utile, imparare dalla “vicenda Bibbiano”, come sempre quando si sa imparare dai propri errori, quanto meno per diminuire il rischio della loro ripetizione.