Woody Allen ha sempre amato la Russia, la sua anima irrequieta e passionale e la sua maestosa letteratura, dallo spassoso omaggio a Lev Tolstoy di Amore e Guerra, alle pellicole più “dostoevskiane” come Crimini e Misfatti e Match Point in cui ha indagato il significato e il peso della colpa nelle nostre esistenze in bilico tra il caso e la morale. Naturalmente il cineasta newyorkese ama anche il cinema russo come ha ricordato domenica scorsa nel collegamento video con il Moscow International Film Week dialogando con il collega Fyodor Bondarchuk. Questo però non significa che sia un «complice di Putin», al contrario Allen si è schierato pubblicamente contro l’invasione dell’Ucraina pur definendosi apolitico.

Eppure il breve intervento alla kermesse moscovita ha provocato le furie del governo di Kiev che ieri ha annunciato la cancellazione di tutti gli spettacoli teatrali tratti dai suoi lavori: «Si deve vergognare», tuona il ministro degli Esteri ucraino. In Occidente le reazioni sono state meno violente ma in molti reputano “inopportuna” la partecipazione di Allen a un festival cinematografico russo, insomma un passo falso magari dettato dalla non più giovane età. Nessuna distinzione tra il Cremlino e il mondo della cultura, tra autocrati e artisti. È lo stesso schema che ha portato alla censura del direttore d’orchestra Valery Gergiev, cacciato dalla Scala di Milano nel 2022 e poi rifiutato dalla reggia di Caserta nel 2025 “per non legittimare” il regime di Putin.

Su un altro versante anche l’attrice israeliana Gal Gadot è finita nel tritacarne della censura, bersaglio di un’ineffabile lettera firmata 1500 personalità del mondo dello spettacolo che aderiscono all’iniziativa Venice4Palestine e che ne hanno chiesto l’esclusione dalla Mostra di Venezia. Secondo i firmatari Gadot sarebbe una sostenitrice dei massacri nella Striscia di Gaza.

La prova? Ha prestato servizio militare per l’Idf, il che è lapalissiano visto che in Israele la leva è obbligatoria anche per le donne. Andando a spulciare in rete eventuali dichiarazioni di Gadot a favore del governo Netanyahu però non si trova nulla. C’è invece un post pacifista su Instagram del 2023 che è stata costretta a cancellare per la shitstorm dei nazionalisti israeliani che l’accusavano di complicità con i terroristi di Hamas: «Uccidere palestinesi innocenti è orribile.

Uccidere israeliani innocenti è orribile. Se non la pensate allo stesso modo, credo che dovreste chiedervi il perché». Questo il contenuto del post, non proprio una seguace della strage dei civili di Gaza. Per chiudere la porta a qualsiasi polemica Gadot ha annunciato che non andrà a Venezia, una misera vittoria per il piccolo mondo del cinema italiano che, in nome della causa palestinese, decide di bannare senza rischiare nulla un’attrice solo perché di nazionalità israeliana.

Non c’è alcuna logica, alcun costrutto in questa canea di ditini puntati e continue richieste di abiure. Nel mondo polarizzato dalla guerra in Ucraina e dal conflitto in Medio Oriente i censori si muovono come branchi di lupi, da una sponda e dall’altra, con la stessa zelante ottusità. Così quelli che magari difendono Woody Allen dagli attacchi dei pro Ucraini in nome della libertà di pensiero chiedono allo stesso tempo l’esclusione di artisti e accademici israeliani dai festival e dalle università. Esattamente come i “liberali” che contestano le crociate e i boicottaggi dei pro-pal mentre con la mano sinistra lanciano anatemi contro direttori d’orchestra e professori universitari russi.

Russia-Ucraina-Nato, Israele-Palestina-Hamas: l’intero discorso pubblico sembra ridursi a un campo di battaglia dove non esiste alcuno spazio per la distinzione e in cui la colpa è tutta addossata al campo avverso. Ogni sfumatura viene annullata, ogni tentativo di distinguere tra responsabilità politiche e libertà artistiche attiva schiere di molossi pronti ad azzannare. La contrapposizione permanente – questo continuo gioco a somma zero – ci sta rendendo tutti più cattivi, più dogmatici, in una parola più stupidi.

Perché ciò che conta non sono i principi ma l’appartenenza a una fazione. Se stai dalla mia parte proteggerò la tua libertà, se sospetto invece la tua indulgenza verso il nemico i tuoi diritti non valgono più. È così Woody Allen diventa il complice di Putin e Gzal Gadot la sostenitrice dei massacri: non per ciò che hanno detto o fatto davvero, ma perché associati a una bandierina che, nel gioco tribale, li rende automaticamente colpevoli.