Stavolta l’hanno proprio fatto: non un comunicato, non una nota indignata, non l’ennesimo convegno sul rischio di una presunta “deriva autoritaria”. No, stavolta l’Anm ha piazzato un bel 6x3, un manifesto vecchio stile, di quelli che – pensate un po’ – piacevano a Silvio Berlusconi, per urlare quel che la riforma sulla separazione delle carriere non dice neanche di striscio, ovvero che l’obiettivo nascosto della riforma sarebbe quello di assoggettare il potere giudiziario a quello politico.

Proprio così: l’ufficio “propaganda e diffusione” dell’Anm ha affisso sui muri delle città un manifesto che dice: “Vorresti giudici che dipendono dalla politica? Con la legge Nordio i politici vogliono controllare le decisioni dei magistrati”. E poi l’invito: “Al referendum vota no”. Qui non siamo nel campo delle opinioni. Siamo nel campo della bugia. Perché in nessun punto – nessun capitolo, nessun comma, nessuna nota a piè di pagina – questa riforma dice o anche solo suggerisce una cosa del genere. Al contrario: ribadisce, più volte, che la magistratura è autonoma e indipendente. Ripetiamo: autonoma e indipendente.

E dunque succede una cosa curiosa, quasi divertente, se non avesse ricadute drammatiche: una parte della magistratura associata, quella più politicizzata, scopre il populismo. Ne adotta il linguaggio, i toni, le semplificazioni. Trasforma una riforma – opinabile come tutte – in un golpe. Presenta un legittimo confronto istituzionale in un’aggressione alla democrazia.

È la stessa logica che si rimprovera ai politici: creare il nemico, urlarlo, semplificarlo, portarlo in strada. Solo che qui a farlo non è un leader di partito ma chi amministra la giustizia.

Il paradosso è tutto lì. Chi dice di difendere le istituzioni le trascina nel fango della propaganda. Chi denuncia la politica politicizza la toga. Chi invoca la Costituzione la riduce a slogan da affissione.