Il nucleo della riforma costituzionale non è la separazione delle carriere (realizzabile con legge ordinaria) bensì il depotenziamento del Csm, che verrà sdoppiato e privato della potestà disciplinare e risulterà composto da magistrati non più eletti ma sorteggiati. Il sorteggio è il vulnus più grave: non solo perché affida al caso la selezione delle persone investite di una funzione di rilevanza costituzionale e priva il governo autonomo della magistratura dell’apporto della riflessione collettiva che emerge dal pluralismo degli orientamenti associativi dei magistrati; ma, soprattutto, perché, trasforma la componente togata del/dei Csm in una casuale adunata di singoli, spogliati della forza derivante dal mandato elettorale.

Con il sorteggio gli istituendi Csm saranno ridotti ad organi di natura tecnico- amministrativa, meri uffici del personale, privi della capacità di (e della legittimazione ad) esprimere orientamenti valoriali che rappresentino sintesi democratica di diverse sensibilità e visioni della giurisdizione.

L’assunto che il sorteggio sarebbe necessario per guarire la magistratura dai mali del correntismo è una mistificazione. Il correntismo ha prodotto gravi degenerazioni di tipo clientelare e spartitorio. Ma ciò, contrariamente a quanto spesso viene ripetuto, non è stato causato dalla forza delle correnti, bensì, al contrario, dalla loro debolezza, cioè dal progressivo impoverimento della loro capacità di elaborazione culturale e di formazione e selezione degli aderenti. Le correnti della magistratura si sono evolute, nell’ultimo ventennio, verso modelli in cui al collante valoriale - o, se si preferisce, ideologico - ha teso a sostituirsi il collante della protezione corporativa. Donde l’emergere di logiche di scambio e, quindi, l’affermarsi in forme e intensità diverse nelle varie correnti - di modelli di leadership che su tali logiche hanno fondato il loro potere.

Ma le degenerazioni delle correnti non si combattono sorteggiando i componenti del Csm (sarebbe come combattere le degenerazioni dei partiti sorteggiando i parlamentari) ma, da un lato, agendo sulla legge elettorale del Csm (per ridurre il potere dei gruppi dirigenti delle correnti nella selezione degli eletti) e, d’altro lato, agendo sulle regole delle procedure consiliari (per migliorarne la trasparenza). Il sorteggio, invece, indebolisce il sistema di governo autonomo senza in alcun modo garantire che consiglieri sorteggiati, liberi da qualunque dovere di ac countability, siano immuni (o restino a lungo immuni) dal rischio di patologiche torsioni delle loro funzioni al servizio di interessi privati, individuali o collettivi, più opachi e più pervasivi di quelli delle correnti.

La riforma, d’altra parte, non migliorerà, per ammissione dei suoi stessi autori, tempi e prevedibilità delle decisioni. Né si vede perché gli episodi di sciatteria, neghittosità, arroganza che si riscontrano nella magistratura, come in qualunque altra categoria professionale, dovrebbero diminuire in un ordine giudiziario diviso in due settori separati, in ciascuno dei quali le spinte alla protezione corporativa non potranno che aumentare, non foss’altro che perché nei suoi organi di governo - ciascuno riferito al proprio settore ed entrambi deprivati della funzione di rappresentare il pluralismo associativo - l’unico collante ideologico resterà inevitabilmente lo “spirito di corpo”.

Il punto è che questa riforma non riguarda la giustizia come servizio, ma la giustizia come potere, cioè i rapporti tra la magistratura e gli altri poteri dello Stato.

La domanda che dobbiamo porci allora è: a cosa serve questo radicale ridimensionamento del peso della magistratura nel sistema della governance complessiva della società italiana? Per rispondere a questa domanda dobbiamo guardare alla storia della Repubblica. Fino al 1948 la magistratura italiana era totalmente immersa nell’ambiente culturale dello Stato liberale, prima, e totalitario, poi. I magistrati provenivano dalla ristretta élite che dirigeva il Paese, di cui condividevano valori e prospettive. Nell’Italia repubblicana, proprio per effetto dei mutamenti generati dalla Costituzione, la magistratura cambia: vi accedono le donne e vi accedono - grazie all’ascen sore sociale dell’istruzione di massa, anche universitaria - fasce sociali fino ad allora rimaste escluse.

La magistratura, dopo il ventennio fascista, riscopre l’associazioni smo, non come strumento di tutela di interessi sindacali ma come sede di costruzione della propria identità culturale, centrata sulla Costituzione. Proprio dal dibattito culturale fra le correnti dell’Anm discende la capacità della magistratura di farsi agente attivo della “costituzionalizzazione” dell’ordinamento giuridico nazionale, grazie alle questioni di legittimità costituzionale e all’interpretazione conforme a Costituzione.

All’inizio degli anni ‘80 i rapporti tra la magistratura e la politica entrano in una fase di tensione che si protrae fino ad oggi. Le inchieste che si susseguono, con esiti alterni, a carico dei “colletti bianchi” se, da un lato, danno corpo ai principi costituzionali di eguaglianza e di obbligatorietà dell’azione penale, dall’altro espongono i pubblici ministeri ad accuse di protagonismo e di politicizzazione.

Dopo la fine della “prima Repubblica” la magistratura viene spesso gravata di funzioni di supplenza della politica (si pensi al caso Englaro o alla vicenda dell’Ilva di Taranto) e il pubblico ministero, in particolare, finisce con l'essere percepito, quando la sua azione va a toccare interessi politici o economici significativi, come un player politico che gioca in proprio, o di sponda con altri players.

Nella concretezza storica della vicenda italiana la magistratura ha dunque assunto un ruolo di controllo molto (forse troppo?) penetrante rispetto alla legalità dell’azione dei poteri politici ed economici. Ciò è stato possibile perché magistrati di diverse estrazioni sociali e tendenze culturali hanno potuto operare in condizioni di assoluta indipendenza non soltanto esterna (della magistratura rispetto alla politica) ma anche interna (dei singoli magistrati rispetto ai loro dirigenti). Lo scudo di questa duplice indipendenza è stato un Csm unitario e rappresentativo. Depotenziare il Csm serve a riportare la magistratura verso il modello pre-costituzionale di ceto funzionariale, coordinato e sintonico con i titolari del potere politico. Il modello dei leoni sotto al trono.