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IMAGOECONOMICA
Andrea Mirenda, consigliere sorteggiato del Csm, cosa voterà al referendum?
Voterò Sì. Credo che sarà di grande aiuto per uscire dalla narcosi etica in cui è precipitata da decenni la magistratura a causa del veleno correntizio. L’ANM, purtroppo, non ha voluto contrastare in alcun modo quella “modestia etica” - per usare le parole del Capo dello Stato - fatta di carrierismo, nomine truccate, assoluzioni sorprendenti, genuflessioni collettive dei magistrati ai vari capi e capetti locali per un via libera ai propri “desiderata”, etc. Tutte cose, queste, che il Caso Palamara ha semplicemente reso pubbliche poiché da sempre assolutamente note, non solo al nostro interno.
Voterò Sì per rafforzare i giudici, asse centrale del giusto processo, affinché il valore dell’imparzialità sia coniugato, anche sul piano dogmatico, con una salda terzietà tecnica, a beneficio di tutti i cittadini indagati e imputati; e voterò con pari convinzione Sì al sorteggio, unica vera preoccupazione del Comitato per il NO e, prima ancora, del gruppo di potere che lo ha espresso, per liberare il Csm dalle ben note congregazioni che se ne sono impadronite, distruggendone il prestigio e mortificandone, secondo convenienza, strategia o collateralismo politico, la funzione di garanzia. Qualcuno ricordi ai colleghi con la coccarda tricolore e la Costituzione sventolata sui gradini dei Palazzi di Giustizia la recente vicenda della pratica a tutela del Procuratore di Roma, dott. Lo Voi, oggetto di solitaria richiesta dell’unico sorteggiato indipendente, nel voltafaccia generale dei togati, ancorché fosse a tutti chiara l’assoluta gratuità del gravissimo attacco mossogli dalla Presidente del Consiglio.
E voterò ancora Sì perché della riforma se ne gioverà anche il nuovo pm, la cui indipendenza da ogni altro potere (immutate le prerogative processuali) viene oggi finalmente scolpita in Costituzione ed arricchita dalla sottrazione del magistrato requirente al potere valutativo dei giudicanti quanto agli sviluppi di carriera, grazie all’autonomia dei due Consigli Superiori.
Il sorteggio davvero è l’unica soluzione al problema che lei descrive?
Se la domanda è se il sorteggio debellerà le derive descritte, la risposta è convintamente sì. Anche quando dovessero essere sorteggiati, per mala sorte, numerosi magistrati correntizzati, questi, diversamente da oggi, non avrebbero più alcun debito “da designazione”. Perché mai, allora, i nuovi consiglieri dovrebbero prestarsi al mercimonio? Perché mai dovrebbe perdere la faccia? In cambio di cosa? È appena il caso di osservare che nessuno potrà ricambiarli per i “servizi resi” una volta tornati in servizio per l’elementare rilievo che nel nuovo Csm giungeranno altrettanti sorteggiati, parimenti liberi da “debiti” tanto da designazione che, per improbabilità statistica, da “regalie”. Non a caso, il vero target del Comitato per il NO è proprio il sorteggio, come più volte dichiarato, avendone ben compreso l’effetto purificatorio.
Se, però, la domanda è quella del se si poteva eliminare diversamente il clientelismo consiliare, anche qui la risposta è positiva: sarebbe bastato introdurre, con legge ordinaria e in via tabellare, la rotazione a turno negli incarichi direttivi, secondo anzianità. Il Csm avrebbe così potuto restare serenamente elettivo, una volta spogliato della polpa dei suoi traffici.
Cosa pensa della disparità per cui i membri laici del Csm sarebbero sorteggiati da una rosa eletta dal Parlamento mentre i togati con sorteggio puro?
Mi sembra sacrosanta. Il sorteggio puro interviene in seno ad una élite ristretta, quella dei magistrati, reduce da un concorso durissimo e chiamata ogni giorno ad un’attività assai più gravosa rispetto all’Alta Amministrazione consiliare: giudicare del patrimonio e della libertà dei cittadini. Questa élite verrà ulteriormente ridotta, presumibilmente, con l’introduzione di requisiti di anzianità minima che ne garantiranno un ancor maggiore bagaglio esperienziale. E tale è la fiducia dell’ordinamento nell’altissima professionalità di ogni singolo magistrato, che il cittadino soggiace, nel suo processo, al principio del giudice naturale precostituito, essendogli precluso di scegliersi “il migliore”. Difficile ripetere le stesse considerazioni, lo dico col massimo rispetto e stima, per l’avvocatura e l’accademia. Ragionevole è, dunque, che il Parlamento sovrano operi il sorteggio solo in esito ad una attenta selezione “a monte”.
Cosa pensa quando sente Meloni, Nordio, Mantovano dire che questa riforma serve a “ricondurre” la magistratura e che oggi è utile alla destra, domani lo sarà alla sinistra?
Non sto, ovviamente, nella loro mente e, quindi, non mi spingo ad interpretazioni autentiche. Credo, tuttavia, che il senso più profondo di quelle parole stia nel rassicurare l’opposizione su una riforma di tutti e per tutti. Una riforma che sarà intestata all’intera società civile, oltre ogni schieramento perché parliamo di principi.
Lei ha scritto: “Nessuno dei protagonisti della vicenda Palamara, eccetto lui, è stato radiato dalla Magistratura e manco sanzionato. Anzi, molti hanno fatto pure carriera!”. Ci spieghi meglio come questo si lega alla riforma.
Palamara non fece tutto da solo! Chi lo afferma si copre di ridicolo. E neppure fu l’inventore di quello che lui stesso, che ne fu il lirico cantore, ha definito come “Il Sistema”. Chiunque intenda avvilirsi leggendo le celebri chat, capirebbe - al di là di ogni ragionevole dubbio - che tutte le conventicole, con fortune alterne e reciproco cannibalismo, parteciparono eccome al banchetto spartitorio del nominificio. Eppure Palamara è stato l’unico a uscirne con il collo rotto. E gli altri? Pressoché nulla! Tutti graziati, vuoi occultamente, grazie all’illegittimo “editto autopetulante” di salviana memoria, vuoi per una simpatica “scarsa rilevanza” del fatto (ma provate a rifarlo in una procedura amministrativa e poi mi dite…) graziosamente riconosciuta da una misericordiosa, quanto domestica, sezione disciplinare. Tutto ciò avviene dopo la defenestrazione catartica di Palamara, a riprova di come nulla sia cambiato. E ci vorrebbe un bell’ardire a sostenere il contrario, con 18 togati su 20 espressione diretta di una corrente. Mia Zia Cesarina dice che se gli ingredienti restano gli stessi, puoi cambiarle pure il nome ma la torta sempre quella rimane.
Lei ha criticato il fatto che insieme all’altro suo collega Fontana non avete avuto la presidenza di nessuna commissione.
Per quanto mi riguarda, devo subito precisare di non avere mai richiesto alcunché, né presidenze né nomine in particolari commissioni: tempo perso in un ambiente totalmente lottizzato. Mi sono limitato, invece, a rilevare quanto sopra ed ho, altresì, evidenziato come altri consiglieri, saldamente correntizzati, siano stati beneficiati della presidenza addirittura due volte mentre altri ancora, dopo aver goduto del doppio beneficio, hanno conseguito diversa ma parimenti prestigiosa nomina. Come funziona è, allora, chiaro.
Cioè?
Le presidenze delle Commissioni, come peraltro tutto il resto, sono allegramente spartite secondo proporzione consiliare, indipendentemente da ogni attitudine, merito o competenza. Chi è fuori dai gruppi non tocca palla: un benchmark incontrovertibile del gravissimo stato di salute dell’attuale Consiglio, al pari del passato.
Che potere ha il presidente che le correnti vorrebbero spartirsi?
La domanda andrebbe fatta a costoro, impegnati come sono stati - in tutte e tre le tornate - in segrete trattative interne a cui, per ovvi motivi, non ho preso parte. Ma è facile immaginare che la corrente accreditata di molteplici presidenze possa spenderle verso il corpo elettorale come espressione del potere conseguito. E il potere, come tutti sanno, genera consenso nei genuflessi.
Secondo qualcuno la facoltà concessa ai componenti del Csm di astenersi è un argomento che esclude la natura puramente amministrativa dell'organo.
Ci vuole non poca fantasia, meglio, deliberata spregiudicatezza, per argomentare la politicità del Csm dalla banalissima facoltà di astensione del consigliere. Basteranno a smentirla le sentenze della Corte Costituzionale del 1973, del 1983, del 1992, del 2009, del 2018?
Un articolo di qualche giorno fa del Sole 24ore sosteneva che nel corso dell’attuale consiliatura del Csm la sezione disciplinare ha emesso 194 sentenze di cui 80 condanne, 91 assoluzioni, 23 non luogo a procedere. Può dirsi allora davvero una giustizia domestica?
Prescindiamo, innanzitutto, dalle suggestioni legate all’attuale consiliatura, alle quali potremmo agevolmente contrapporre quelle, non sempre commendevoli, delle precedenti. È, difatti, al nodo dogmatico che occorre prestare attenzione. E allora, occorre chiedersi se corrisponda all’idea formale di “ giudice” quella di una sezione disciplinare composta da togati “eletti”, normalmente di matrice correntizia (il dato storico parla da solo), chiamati a giudicare proprio coloro che li hanno designati. Ed ancora, se possa dirsi davvero giudice chi crea quel “formante” di regole secondarie che poi dovrà applicare agli incolpati. Che ne resta, qui, dell’imparzialità e terzietà, baluardi insuperabili dell’idea di organo giudicante? All’Alta Corte va ascritto, quindi, il merito dogmatico di aver voluto separare il CSM, lato sensu “datore di lavoro”, dall’organo disciplinare, dotato di vera terzietà e imparzialità.
Si poteva fare meglio?
Certo! si sarebbe, difatti, potuto conservare al Consiglio il relativo potere, quale naturale conoscitore delle dinamiche organizzative e deontologiche della magistratura. E sarebbe bastata l’impugnabilità davanti al giudice amministrativo del provvedimento disciplinare reso in esito a procedura garantita, non più con sentenza. Purtroppo, anche qui si è registrato il silenzio riformista della magistratura associata.
Rispetto a questa previsione «contro le sentenze emesse dall’Alta Corte in prima istanza è ammessa impugnazione, anche per motivi di merito, soltanto dinanzi alla stessa Alta Corte» per Margherita Cassano ci sarebbero dubbi di costituzionalità rispetto al 102 e al 111. Lei che ne pensa?
Tra i giuristi il dibattito è aperto. Per parte mia non posso che osservare come l’art.111, comma 2 sia rimasto immutato. Non sono affatto certo che la sentenza dell’Alta Corte si sottrarrà a questo principio cardine.


