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MARIO OLIVERIO EX PRESIDENTE REGIONE CALABRIA
«Le indagini che mi hanno riguardato rappresentano la messa in opera di un modello distorto ben collaudato che ha determinato prim’ancora che un danno alla persona, una grave lesione della democrazia, essendo io stato eletto col consenso popolare. A fronte di vittime innocenti ha prodotto promozioni eccellenti. È molto probabile che una condizione di piena autonomia e terzietà del gip, garantita dalla separazione delle carriere, avrebbe anticipato quanto acclarato dalle sentenze». A dirlo è Mario Oliverio, ex governatore della Calabria, per anni in un tritacarne mediatico- giudiziario che gli ha cambiato la vita. E che lo ha convinto, ancora di più, a schierarsi a favore della separazione delle carriere.
Lei ha deciso di supportare la campagna per il Sì. Quali sono le sue ragioni e in che modo la sua esperienza personale l’ha portata a questa scelta?
Dal 1992 al 2006 ho svolto il ruolo di parlamentare della Repubblica come deputato eletto nel Pds e nei Ds. Mi piace ricordare che la terzietà del giudice nel processo, rispetto ad accusa e difesa, è stata una bussola costante nel più grande partito della sinistra. Anche nella fase calda e delicata seguita a Tangentopoli, malgrado il condizionamento crescente di un’area giustizialista e giacobina, nel maggiore partito della sinistra, non si è mai mollato su questioni di principio come questa. D’altronde la separazione delle carriere è un provvedimento coerente con la riforma del 1989 sostenuta dal anche Pci e che non a caso porta il nome di un ministro socialista: Giuliano Vassalli. Lo ha ricordato bene il professor Augusto Barbera, presidente emerito della Corte costituzionale nonché autorevole parlamentare Pci Pds, Ds. E non posso non ricordare la Bicamerale presieduta da D’Alema nel corso della quale furono proprio i parlamentari Ds e Ulivo a presentare emendamenti per la separazione delle carriere come hanno ricordato Enrico Morando e Claudio Petruccioli. La mia è una posizione coerente con questa storia. Le vicende personali a cui fa riferimento l’hanno semmai rafforzata.
Il riferimento è alle indagini che l’hanno riguardata e che si sono chiuse con la sua archiviazione o assoluzione, ma non senza conseguenze sulla sua carriera politica, che la vedeva, in quel momento, alla guida della Regione Calabria. Ritiene che vi sia un problema sistemico nel rapporto fra giustizia, media e politica? Quali cambiamenti servirebbero secondo lei?
La mia vicenda è paradigmatica. Alla luce delle ripetute sentenze che mi hanno riguardato, di assoluzione con formula piena perché “il fatto non sussiste”, si può affermare senza tema di smentita, che si è trattato della messa in opera di un modello distorto ben collaudato che ha determinato prim’ancora che un danno alla persona, una grave lesione della democrazia, essendo io stato eletto col consenso popolare. A fronte di vittime innocenti ha prodotto promozioni eccellenti. Paradossalmente, chi avrebbe dovuto essere sanzionato ha fatto carriera. È molto probabile che una condizione di piena autonomia e terzietà del gip, garantita dalla separazione delle carriere, avrebbe anticipato quanto acclarato dalle sentenze. Come era a tutti noto il clima di pressione psicologica su gip e gup nel Palazzo di Giustizia si tagliava col coltello. D’altronde basta guardare l’elevata percentuale di assoluzioni nei tanti processi. La magistratura giudicante dovrebbe esercitare anche fisicamente in edifici distinti da quella inquirente, come in tutti i grandi Paesi europei.
Il Tribunale di Cosenza ha condannato la Rai a risarcirla per averle attribuito un’aggravante mafiosa che nemmeno la procura le contestava: cosa significa per lei, a livello personale e pubblico, aver ottenuto “giustizia” anche mediaticamente e come ritiene sia possibile che sia stata diffusa una notizia tanto infamante quanto falsa?
La sentenza del Tribunale di Cosenza è molto importante. Ancor più importanti ed illuminanti sono le motivazioni assunte dal giudice che le ha emesse. Emerge in modo puntuale il sistema perverso giustizialismo- gogna mediatica, il quadro di una spirale che è volta ad annientare reputazione, dignità e immagine di una persona. Sono stato rappresentato come responsabile di un reato di mafia mentre mi veniva contestato un semplice abuso d’ufficio. Non c’è alcuna spiegazione se non quella di amplificare l’onda di una operazione giudiziaria che aveva riguardato il presidente della Regione Calabria. Lascio a voi valutare a chi poteva servire una notizia così infamante e clamorosa per proiettare la propria immagine.
Si può tornare indietro dai danni causati dalla “gogna mediatica”?
Sono irreparabili. Le sentenze sono importanti perché certificano la verità, ma non restituiscono la condizione precedente. Si fa presto a buttare un pugno di farina, ma è impossibile da recuperare.
Come valuta il ruolo dell’antimafia in Calabria, e il possibile uso politico di certe inchieste?
Le relazioni annuali pubblicate dal ministero dell’Interno sulle organizzazioni criminali dicono che la ’ ndrangheta negli ultimi 15 anni ha accresciuto la sua forza. È questo un dato su cui bisognerebbe riflettere per valutare misure e strategie adeguate ed incisive di contrasto alla ’ ndrangheta. Intendiamoci, vi sono magistrati seri e forze dell’ordine che svolgono con abnegazione e serietà un’azione costante di contrasto alla criminalità sui territori, lo fanno con sobrietà e senza clamore mediatico seguendo l’esempio di uomini come Falcone e Borsellino, che non a caso hanno contribuito a dare un duro colpo alla mafia siciliana. La Calabria purtroppo è al primo posto per risarcimenti da ingiuste detenzioni.
Che messaggio vuole dare non solo ai suoi detrattori, ma anche agli elettori in generale, riguardo giustizia, verità e diritto di cronaca?
Ritrovare fiducia nella giustizia recuperando piena credibilità della magistratura il cui ruolo rimane insostituibile. La malagiustizia non è quella dell’errore giudiziario che, anche se grave ed ingiustificato può capitare, ma è quella che assume una dimensione patologica, in cui si costruiscono accuse prive di indizi, per altri scopi, per avere i titoli sui giornali. Più rilevante è il bersaglio più eclatante è la notizia. Vede, la verità ha spesso meno appeal di una falsità ben congegnata. Quando, mossi da pregiudizio, si decide di inventare… lo spazio per la fantasia non ha limiti. Questo è fattore di discredito per le istituzioni e di sfiducia per i cittadini.
Considerando le indagini a suo carico, come vive questa “persecuzione giudiziaria continuativa”? Che peso ha nella sua vita oggi?
Non è facile resistere. Sai che c’è chi conta su un tuo crollo psicofisico. È questo uno degli aspetti che si trascura spesso di evidenziare. Ma la consapevolezza che dall’altra parte ci sia anche questa aspettativa, diventa un incentivo per riaffermare sempre con maggiore forza la verità e quei valori che sono da sempre alla base della mia formazione. Io la lotta alla criminalità organizzata l’ho fatta da sempre, con coerenza e con l’azione politica che è quella in grado di portare i risultati concreti. Non va mai dimenticato che la lotta alla ’ ndrangheta è innanzitutto una sfida culturale e politica.


