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ANTONELLA MARANDOLA DOCENTE
Antonella Marandola, ordinaria di Diritto processuale penale all’Università degli studi del Sannio e componente del Comitato del Sì di Noi Moderati: quelli del No hanno parlato di “attacco alla Costituzione”.
È la stessa Costituzione che dal 1948 impegna il legislatore a dare attuazione alla sua VII disposizione transitoria per cui ci saremmo dovuti dotare di un ordinamento giudiziario conforme alla Carta. Il tema è emerso con la riforma del processo penale del 1988: l’articolo 5 della legge delega impegna il governo a emanare le norme necessarie per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo modello. Quell’impegno diventa indifferibile nel 1999, con la costituzionalizzazione del giusto processo, che si esplicita anche attraverso la garanzia della terzietà e dell’equidistanza del giudice dall’accusa e dalla difesa.
Secondo lei con la separazione delle carriere ci saranno più assoluzioni e meno ingiuste detenzioni? In generale, si otterrà un minor appiattimento del gip nei confronti del pm?
È difficile formulare una prognosi. Certamente la riforma ha l’obiettivo di fluidificare una certa vischiosità nei rapporti tra pm e giudice: basti pensare alla nota indagine meneghina di quest’estate. Il testo intende rafforzare l’autonomia e l’indipendenza del giudice: invia in tal senso un messaggio anche culturale. Ci si sta avviando verso la scrittura di una cornice di alto profilo, che, se non ricordo male, il ministro Nordio aveva opportunamente legato, con la nomina dell’apposita Commissione di studio, alla rivitalizzazione del modello accusatorio. Si auspica la consegna di un gip potenziato sul piano materiale, che possa esprimersi tenendo conto degli elementi dell’accusa ma anche della difesa. Un discorso differente investe il giudice del processo, che decide nel pieno contraddittorio fra le parti.
Paolo Ferrua ha detto al Dubbio: “Penso, con Franco Cordero, che la separazione delle carriere, nell’ambito di una magistratura non elettiva ma reclutata per concorso, abbia un senso solo se accompagnata da un controllo politico sul pm”.
Ho preso atto dell’autorevole opinione del professor Ferrua. Quella che si sta attuando è una scelta di maggiore garanzia: i nostri magistrati sono, e rimarranno, reclutati per concorso, mentre la riforma, proprio per fugare ogni dubbio, rafforza considerevolmente l’indipendenza del pm da ogni altro potere. Si prevede un Csm separato, presieduto dal Presidente della Repubblica. È questa una garanzia assoluta.
Ennio Amodio, sempre al Dubbio, parlando dell’omologazione tra pm e giudici, ha osservato che “si vuole far entrare in funzione un ascensore istituzionale che porta i magistrati dell’accusa allo stesso piano dei giudici. E li incorona come se fossero i privilegiati compagni del percorso processuale di chi ha il compito di pronunciare la sentenza”.
L’esperienza, anche giudiziaria, lascia trasparire che quel raggiungimento ( e superamento) è in atto da tempo. Non s’ignora il fatto che un tale fenomeno è rafforzato dal ruolo preponderante che hanno assunto le indagini e la diffusione mediatica dei loro esiti. Le riforme Orlando e Cartabia hanno tentato di riequilibrare quel rapporto. Ora, l’omologazione del pm convive con una migliore definizione del suo ruolo e la garanzia
della sua indipendenza, ma, al di là di politica e ideologia, si ri- assestano la posizione del giudice e la sua giusta equidistanza dalle parti.
Cosa pensa della disparità per cui i componenti laici del Csm sarebbero sorteggiati da una rosa eletta dal Parlamento mentre i togati con sorteggio puro?
In verità la scelta non mi vede del tutto favorevole. L’opzione governativa consente di fronteggiare, non certo nel migliore dei modi, il correntismo della componente togata e il collateralismo di quella laica, che si sono avuti in questi anni all’interno del Csm. Sarebbe auspicabile un sorteggio temperato per entrambe le componenti. La disparità si lega alle diverse radici e formazione, ma, in ogni caso, non va trascurato il fatto che i membri laici saranno numericamente inferiori. L’auspicio in generale è che i suoi componenti, indipendentemente dalle modalità di nomina, sappiano operare con equidistanza, facendo riacquistare ai due Csm le caratteristiche istituzionali proprie.
Negli atenei le commissioni sono, da tempo, sorteggiate: in base alla sua esperienza, è un sistema che funziona e che può essere esportato al Csm?
Il sorteggio in ambito accademico non mi pare abbia dato buona prova di sé. In entrambi i casi si constata il fallimento delle due categorie professionali, per più parti accomunate, ad autodeterminarsi, ma l’equità e l’eliminazione del conflitto d’interessi si realizzerà solo con la riappropriazione di quella cultura e di quel senso di responsabilità che ciascun soggetto investito di una posizione pubblica deve possedere e manifestare.
Rispetto alla previsione per cui “contro le sentenze emesse dall’Alta Corte in prima istanza è ammessa impugnazione, anche per motivi di merito, soltanto dinanzi alla stessa Alta Corte”, per Margherita Cassano ci sarebbero dubbi di costituzionalità rispetto agli articoli 102 e 111. Lei che ne pensa?
Certamente l’osservazione della Presidente emerita è assolutamente condivisibile. Si tratta di un aspetto cruciale, considerata la delicatezza degli equilibri costituzionali, salvo ritenere la norma valevole solo nel caso della cosiddetta doppia conforme o, in quanto sopravvenuta, una deroga, espressa e voluta, all’articolo 111 della Costituzione. D’altro canto, i precedenti testi, pur strutturando un organo disciplinare autonomo, prevedevano espressamente il ricorso in Cassazione.
Cosa pensa del fatto che l’Anm abbia costituito il Comitato del No e lo presenti nei tribunali?
Credo che la magistratura possa svolgere un’attiva campagna referendaria, si tratta poi di verificarne i modi e le forme. Altra questione è l’uso delle aule dei Palazzi di giustizia, il cui impiego non va monopolizzato. Si tratta di luoghi aperti, pubblici, così come le stesse università, che possono e devono ospitare ogni iniziativa, anche quelle mirate a orientare il voto sul referendum costituzionale, ma nel segno del pluralismo. Una diversa impostazione rafforza, altrimenti, le ragioni stesse della riforma.


