È davvero incredibile che i sostenitori del no nella campagna referendaria sulla separazione delle carriere non vogliano riconoscere la grande stortura che affligge l’attuale sistema in cui si intrecciano e sviluppano in modo congiunto l’agire dei pubblici ministeri e quello dei giudici. C’è infatti tra i titolari della funzione di accusa e gli esponenti della giudicante un vincolo permanente di effettiva colleganza che alimenta il senso e l’orgoglio di appartenenza alla stessa famiglia istituzionale, la Magistratura.

Così in sede processuale il distacco e la neutralità del giudice rispetto alla pubblica accusa scricchiolano o mostrano di star per scricchiolare anche sotto la spinta di un comune credo nel dovere di difendere la collettività dal delitto. Questo è il vizio congenito che la legge sulle carriere separate vuole estirpare creando due distinti percorsi di vita professionale per le toghe della requirente e per quelle della giudicante.

Proviamo a passare in rassegna i momenti in cui si manifesta con maggiore evidenza la malattia della colleganza. Colleghi si nasce uscendo fuori dal medesimo concorso che è la prima manifestazione della intrinseca unità della magistratura. Poi ci sarà la scelta di indossare la toga del pubblico ministero o quella del giudice, ma sarà sempre la carta di identità dell’immissione in ruolo a rappresentare il punto di riferimento per le vicende della carriera. Come quando ad esempio si sente dire da un magistrato della Procura che un certo giudice “è del mio concorso” quasi a sottolineare con enfasi una persistente solidarietà.

C’è poi un successivo passaggio in cui nasce l’esigenza di acquisire il sostegno garantito dal rapporto di colleganza. Il giovane magistrato che ha scelto il ruolo di accusatore si rivolge all’anziano collega, giudice di Tribunale che milita nella stessa corrente, per essere aiutato nella ricerca del posto di sostituto in una Procura non lontana da casa sua. In questo modo si consolida il legame di appartenenza ad un corpo unitario al di là della differenza di funzioni svolte in concreto.

Ancor più importante è il supporto di cui il togato necessita quando aspira in età più avanzata a ricoprire un incarico direttivo per il quale si apre un concorso davanti al Consiglio superiore della magistratura. Essendo necessaria l’intesa tra le diverse correnti, sarà indispensabile al candidato attivare una pluralità di contatti con colleghi prescindendo dalla loro posizione di requirenti o giudicanti. Da qui l’infittirsi di scambi di vedute e il rafforzamento della consapevolezza che per quanto riguarda le vicende interne al progredire in carriera non esiste alcuno steccato tra i pubblici ministeri e i giudici.

Infine, può accadere che un magistrato sia sottoposto al giudizio disciplinare davanti al CSM ed ecco il formarsi, per i casi più importanti, di gruppi allargati il cui orientamento di sostegno all’incolpato rende operativo il vincolo di colleganza che prescinde del tutto dall’esercizio dell’identica funzione requirente o giudicante.

Nel moltiplicarsi delle occasioni che inducono i magistrati a comportarsi come parti di un medesimo corpus unitario, è evidente come questa fisionomia peculiare finisca per incidere sulla purezza della imparzialità del giudice rispetto al collega pubblico ministero quando si apre il confronto sulla scena del processo penale. Difficile anche per il difensore dell’imputato non avvertire come il magistrato che rappresenta l’accusa sia un attore privilegiato agli occhi del giudice, il quale dovrebbe operare nel rispetto del principio di parità delle parti.

Che la eliminazione di un simile squilibrio sia il vero obiettivo della legge costituzionale da sottoporre al referendum, è stato recentemente riconosciuto da un importante documento sottoscritto dal Consiglio direttivo della Associazione tra gli studiosi del processo penale - G. D. Pisapia. I depositari del sapere scientifico sulla materia processuale hanno riconosciuto che è proprio il groviglio degli interessi e delle prospettive comuni a rendere necessaria la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri così come prescritto dal principio del giusto processo garantito dalla Costituzione. E all’interno dell’attuale dibattito, che si snoda nei talk show televisivi e sulla stampa, la parola limpida e ragionata di chi usa quotidianamente nelle università la lente di ingrandimento per scoprire i mali della giustizia penale dovrebbe spazzare via gli argomenti fallaci finora dettati dalla animosità politica.