Rivolta tra i professori di procedura penale. Come anticipato ieri l’Accademia è spaccata sulla riforma targata Nordio e Meloni. Vediamo la seconda puntata. «A seguito della pubblicazione, da parte del Direttivo dell'Associazione, del documento di adesione alla riforma costituzionale, riteniamo di esprimere il nostro dissenso, attraverso il documento allegato che verrà diffuso». Con questa email è partita qualche giorno la raccolta firme a un elaborato di alcuni professori di procedura penale contro la riforma della separazione delle carriere e soprattutto in contrasto con quello del direttivo dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale “G. D. Pisapia”.

Secondo questo gruppo di processual penalisti «la separazione della magistratura, congegnata dalla riforma, non è necessaria per attuare il giusto processo contemplato dall’art. 111 Cost., né fornisce alcun contributo alla risoluzione dei problemi che affliggono la giustizia penale italiana ( primo fra tutti la durata irragionevole), non apparendo una terapia adeguata al nostro agonizzante processo penale».

Inoltre «la modifica costituzionale rischia di portare a un mutamento genetico del pubblico ministero, destinato a configurarsi sempre più come organo schiacciato su mere istanze di repressione, e a un suo conseguente pericoloso rafforzamento».

In più «questa involuzione del pubblico ministero è destinata a tradursi in un progressivo indebolimento delle garanzie per indagati e imputati (soprattutto non abbienti)». Infine lo «sdoppiamento del Consiglio Superiore della Magistratura e l’introduzione del sorteggio secco per la componente togata rischiano di indebolire i presidi di autonomia e indipendenza, tanto dei pubblici ministeri, quanto ( e forse soprattutto) dei giudici».

Tra i firmatari del documento troviamo, tra gli altri, Mitja Gialuz, Giulio Illuminati (pare dimessosi dall’Associazione “G. D. Pisapia” dopo questi contrasti), Giulio Ubertis, Francesco Caprioli, Roberta Aprati, Gabriella Di Paolo, Donatella Curtotti, l’Emerito Roberto E. Kostoris.

In tutto sono 41 e di questi 38 sono soci dell’Associazione Pisapia, composta da circa 160 soci ordinari e presieduta da Adolfo Scalfati.

Quest’ultimo invece si era espresso a favore insieme agli altri membri del direttivo (Sergio Lorusso, Giulio Garuti, Filippo Dinacci, Mariangela Montagna, Daniele Negri con il voto contrario, espressivo di una dissenting opinion, del professor Michele Caianiello). Al di là del merito delle due posizioni in campo che divide nettamente l’Accademia sulla riforma costituzionale, a tenere banco è ancora la questione di metodo.

Come vi abbiamo raccontato ieri, infatti, diversi soci hanno contestato il fatto che non sia stata convocata una assemblea, anche online, di tutti gli iscritti per discutere del paper pro separazione delle carriere dei giudicanti e requirenti. Il direttivo avrebbe scelto di renderlo pubblico senza consultare in pratica la base, ossia gli altri circa centocinquanta professori di procedura penale tra i più noti della nostra Accademia. Da lì sarebbe nata una polemica molto aspra. E ieri mattina, alla lettura del nostro articolo, gli animi si sarebbero accesi ancora di più.

Paradossalmente anche qualcuno tra i sostenitori della riforma ha mosso critiche alla decisione di Direttivo di andare avanti dritto per la sua strada. «Esiste una questione di opportunità: non si può schierare una associazione come questa a favore di un referendum» ci dice un professore. Un altro aggiunge: «Qualche settimana fa abbiamo tenuto un convegno a Ferrara: perché non si è discusso della questione in quella sede? Perché si è voluta forzare la mano?».

Un altro si chiede ancora malignamente: «non è che qualcuno sta per entrare in qualche comitato per il Sì?». E ancora un altro: «così hanno ottenuto l’effetto contrario di compattare il No interno all’Associazione con quello politico». E infine un’altra voce dissenziente: «anche a livello scientifico, non si può giustificare un Sì alla riforma sul piano dell’indipendenza del giudice citando una sentenza della Corte Edu che riguarda una causa civile maltese del signor F. contro la signora M. che stendeva i panni nel suo cortile e da cui è nata poi una causa di incompatibilità perché un giudice era il fratello dell’avvocato che assisteva il signor F.».