Niente ladri di bambini. Niente elettroshock. Nessun sistema, né “metodi”. Crolla clamorosamente il teorema di Bibbiano, affossato dal Tribunale di Reggio Emilia con un fiume di assoluzioni in primo grado. Una sentenza, quella pronunciata oggi, che abbatte centinaia di capi d’imputazione per 14 imputati e conferma quanto il processo aveva fatto emergere in maniera evidente: il fatto non sussiste. Nessun minore è stato allontanato ingiustamente dai genitori e non è stato instillato nessun falso ricordo per convincere i bambini di aver subito abusi, secondo le giudici, che hanno comminato solo tre condanne minime per fatti non inerenti agli affidi. La responsabile del Servizio sociale, Federica Anghinolfi, per la quale erano stati chiesti 15 anni e mezzo, è stata condannata a due anni per una presunta non corretta appostazione di una voce di bilancio per il pagamento di una psicoterapia, condanna per la quale la difesa ha già annunciato appello. Un anno e otto mesi per Francesco Monopoli (pena richiesta 11 anni) per un falso e cinque mesi per la neuropsichiatra Flaviana Murru (chiesti 8 mesi) per rivelazione, tutte pene sospese. Dopo sei anni, valanghe di fake news, strumentalizzazioni politiche e misure cautelari che hanno stravolto le vite degli imputati, dunque, muore l’inchiesta mediatica più devastante degli ultimi anni, già minata dall’assoluzione definitiva in abbreviato dello psicoterapeuta Claudio Foti. Lesioni, riciclaggio, frode processuale: tutto andato. Ad ascoltare la sentenza una folla di sostenitori degli imputati, che dopo la lettura della sentenza, arrivata dopo sei ore di camera di consiglio, sono scoppiati in lacrime. Presente vicino alla pm Valentina Salvi anche il procuratore Gaetano Paci.

Le richieste di condanna

Salvi aveva invocato condanne per 73 anni complessivi di carcere. Un processo costellato di colpi di scena - perfino con la denuncia degli avvocati Oliviero Mazza e Rossella Ognibene, difensori di Anghinolfi, per calunnia, con la colpa di aver sollevato un’eccezione difensiva -, durante il quale i testi dell’accusa hanno sostanzialmente smentito le indagini, ribaltando il racconto mediatico della vicenda. Dieci i testimoni risultati indagabili, un vero e proprio record. Circostanza che, insieme alle tante smentite venute fuori dalle testimonianze, ha spinto le difese a rinunciare a tutti i testi. Durante la requisitoria Salvi aveva ribadito, però, la bontà delle accuse contestate, ribadendo il racconto dell’ordinanza di custodia cautelare e sostenendo la coerenza del racconto emerso in aula con le indagini. Una convinzione spazzata via dal collegio presieduto da Sarah Iusto.

Secondo Salvi, i minori coinvolti in questo processo - sei casi in tutto - sarebbero stati «sradicati dal proprio contesto familiare», tenuti per anni lontani dalle famiglie e convinti di essere stati «abusati sessualmente dai propri genitori e, in alcuni casi, di essere stati anche mercificati». Il tutto attraverso presunti «falsi ricordi» instillati tramite la terapia. La difesa ha meticolosamente smentito, però, la possibilità di inculcare un ricordo falso nella mente di un bambino, portando in aula ampia letteratura scientifica. Salvi aveva contestato il dolo, smentendo se stessa in aula con una dichiarazione di segno opposto: ovvero che i Servizi sociali fossero fermamente convinti dell’esistenza di abusi, agendo sistematicamente per ristabilire una loro forma di giustizia. Ma l’affido sarebbe stato, per l’accusa, anche una questione “politica”, con l’obiettivo di favorire coppie omosessuali attraverso una riforma del sistema, da raggiungere grazie ad entrature politiche. Una tesi fondata sull’unica coppia affidataria a processo, Fadia Bassmaji e Daniela Bedogni, donne per le quali aveva chiesto tre anni (tanto quanto la durata dell’affido), anche loro assolte perché il fatto non sussiste.

L’inchiesta

Il caso esplose il 27 giugno 2019 con un’inchiesta - “Angeli e Demoni” - che conteneva tutti gli ingredienti giusti per dar vita ad un film horror: disegni di bambini falsificati, padri e madri dipinti come mostri, travestimenti, regali e lettere d’affetto tenuti nascosti. Un quadro raccapricciante nel quale la fake news dell’elettroshock fece da apripista a anni di gogna. Ventisette le persone inizialmente coinvolte nell’inchiesta, tra le quali l’allora sindaco Pd di Bibbiano Andrea Carletti, accusato di abuso d’ufficio, ma dipinto come il motore al centro di un meccanismo infernale. Carletti, inizialmente finito ai domiciliari, è stato prosciolto dopo l’abolizione dell’abuso d’ufficio, contestato per l’assegnazione dei locali del centro “La Cura”, luogo dove la onlus di Foti svolgeva le psicoterapie. Ma anche quell’accusa, all’esito del processo, risulta infondata. A far scattare l’inchiesta alla fine dell’estate del 2018, quella che gli inquirenti definirono una anomala escalation di denunce da parte dei servizi sociali, che ipotizzavano abusi sessuali e violenze ai minori da parte dei genitori. I titoli furono immediati e devastanti: “Elettroshock sui bambini per toglierli ai genitori”, “Sistema Bibbiano”, “Compravendita di minori”, tesi diffuse come un virus grazie a decine di account farlocchi, che fecero circolare in rete l’odio contro i Servizi sociali sull’onda dell’hashtag #parlatecidibibbiano. Il vero processo, dunque, è stato quello mediatico: Bibbiano è diventato il simbolo di una crociata ideologica, utilizzato come grimaldello per la campagna elettorale in Emilia. L’allora vicepremier Luigi Di Maio parlò di “partito degli elettroshock” - sfruttando la presenza di Carletti per attaccare il Pd -, Giorgia Meloni si fece fotografare sotto il cartello di Bibbiano, Matteo Salvini chiuse la campagna elettorale per le regionali a Bibbiano - che il centrodestra perse comunque - con finte mamme private dei loro figli sul palco e promesse di “giustizia esemplare”.

Nessun sistema

Il processo, però, ha fatto emergere un’altra verità: nessun aumento spropositato di affidi, addirittura diminuiti - come dimostrato dalle difese - nel periodo finito sotto indagine. E poche erano anche le segnalazioni di abuso rispetto ai casi trattati. Mentre erano vere le storie di sofferenza di quei bambini. «I tre anni di dibattimento hanno ricostruito una verità giudiziale diametralmente opposta a quella manichea propugnata dal processo mediatico che ha accompagnato tutti i 6 anni di processo - hanno commentato Ognibene e Mazza -. Oggi sappiamo che non esistono demoni contrapposti agli angeli, che la nostra assistita non è una “ladra di bambini” e che non ha mai agito per interessi diversi da quello superiore della tutela dei minori. Questa verità giudiziale ci ripaga degli sforzi compiuti, ma non cancella la distruzione mediatica dell’immagine della nostra assistita né i danni irreparabili e incalcolabili provocati al sistema della tutela dei minori». Per Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro, difensori di Monopoli, «questa pronuncia certifica il fallimento del teorema accusatorio, rivelatosi privo di tenuta all’esame dibattimentale. Le illazioni, le supposizioni, le narrazioni suggestive che hanno sostenuto l’azione penale – dalla fantomatica setta, all’ipotesi di peculato, fino alla tesi infondata di un presunto “sistema” di affidamenti illeciti a fini di lucro – sono state spazzate via dalla forza dei fatti. Tramonta così l’idea, tanto mediatica quanto politica, dei servizi sociali quali “ladri di bambini”, che ha alimentato per anni un clima di sospetto, paura e diffamazione. Francesco Monopoli esce dalla fase dibattimentale a testa alta, forte di quella verità che resta baluardo contro ogni costruzione ideologica e inquisitoria». Esulta anche Luca Bauccio, difensore, insieme a Francesca Guazzi, di Nadia Bolognini, la psicoterapeuta accusata di instillare falsi ricordi, della quale la pm cercava un metodo rivelatosi inesistente, chiedendo 8 anni e 3 mesi. «Oggi muore la leggenda di Bibbiano - dice Bauccio - oggi c’è la prova che il metodo Bibbiano era il metodo di chi ha creato una gogna mediatico giudiziaria, di chi ha calpestato i diritti di presunti innocenti, di chi ha creato demoni al posto di esseri umani che avevano il diritto di essere capiti, ascoltati e di difendersi. Oggi muore un castello di ignominia, di fandonie, di parole d’ordine che hanno scatenato una caccia all'uomo che dura da sei anni. Ma oggi è finita nel modo più chiaro. Perché l’assoluzione quasi totale di tutti gli imputati, da tutti gli innumerevoli capi di imputazione, è la dimostrazione che questo processo era una leggenda. Una leggenda che non doveva nemmeno nascere». Per Andrea Stefani, difensore, insieme a Valentina Oleari Cappuccio, di Bassmaji e Bedogni, «il processo è finito nell’unico modo possibile - commenta -. Eravamo sicuri di questo risultato, c’è voluto solo troppo tempo per arrivarci. Una relazione di affido che è stata mostrificata da questo processo, che è stata una violenza istituzionale vera nei loro confronti e nei confronti della ragazzina che era affidata a loro. È servito solo troppo tempo per arrivare alla decisione, che però è stata la decisione giusta. La formula scelta dal tribunale, il fatto non sussiste, era l’unica possibile in questo caso. Questa sentenza cancella anni di violenza nei loro confronti. È una sentenza che restituisce giustizia a un percorso di vita che era un percorso di amore, che si era costruito in quella relazione d’affido».

Alla fine, i numeri hanno smentito lo scandalo. Ma ciò che resta, tra paure, diffidenza e servizi sociali paralizzati, è il prezzo altissimo che questa vicenda ha fatto pagare a chi tentava solo di proteggere i più fragili. Resta da chiedersi chi ripagherà ora quel prezzo.