Tommaso Calderone, capogruppo Giustizia di Forza Italia alla Camera, ha annunciato un’interrogazione a risposta immediata rivolta al guardasigilli Carlo Nordio per segnalare che sono rarissime, anzi inesistenti le indagini della magistratura sulle fughe di notizie. Si hanno sempre grandi dettagli sulle inchieste, sulle prodezze dei pm o magari, come nell’ultimo caso, sul lavoro del Tribunale dei ministri, ma chissà perché non si viene mai a sapere chi quelle notizie, coperte da segreto, le fa arrivare ai giornali.

Bene: per un bizzarro scherzo del destino, la mattina dopo l’annuncio di Calderone sull’interrogazione anti-talpe, quasi tutte le opposizioni (eccezion fatta per Azione) si uniscono in un coro polifonico per intimare proprio al ministro della Giustizia di dimettersi (ultimatum presto derubricato a richiesta di riferire alla Camera), colpevole, a loro dire, di «aver mentito sul caso Almasri», giacché «da notizie di stampa» si apprende che, per il Tribunale dei ministri le cose, su Almasri, starebbero diversamente da come il guardasigilli le raccontò nella relazione al Parlamento dello scorso 5 febbraio.

È la giustizia, bellezza! È il processo mediatico in tutto il suo fulgore. Un giorno chiedono al guardasigilli come mai nessuno indaghi sulle fughe di notizie dalle Procure ai giornali, e il giorno dopo tracima una fuga di notizie – su Corriere della Sera e Repubblica – relativa a un’indagine in cui proprio Nordio è sotto accusa, per favoreggiamento e peculato (con Meloni, Mantovano e Piantedosi) oltre che per omissione d’atti d’ufficio (da solo). Fantastico. Capolavoro. Truffaut non avrebbe saputo fare di meglio.

Da leader di partito autoproclamatisi garantisti come Magi (+Europa) e Renzi (Italia viva, autore per l’occasione pure di un’interrogazione in real time) a capigruppo al Senato come Boccia (Pd), fino ai più coerenti Bonelli e Fratoianni (Avs) e all’intero M5S Conte in testa (of course), una lunga schiera di esponenti del centrosinistra si esercita nell’imapallinare il ministro e il suo Capo di Gabinetto Giusi Bartolozzi. Ma nessuno, proprio nessuno si interroga sul segreto violato. Su come le notizie siano filtrate dall’inchiesta del collegio composto all’uopo da tre giudici (in questo consiste l’esoterica definizione “Tribunale dei ministri”), inchiesta che non si è mai conclusa e per quale vige dunque il segreto (assistito dall’articolo 326 del codice penale con cui si definisce il reato di chi, quel segreto, lo viola).

Né alcuno fa caso al fatto che una fuga di notizie raffazzonata, maldestra, travolge il titolare della Giustizia proprio mentre costui vede (quasi) conclusa la prima “navetta” sulla separazione delle carriere. Nordio sta per portare a casa il sì del Senato alla propria riforma costituzionale e, guarda caso, si scatena un uragano mediatico basato su una violazione di segreto. Nessun comunicato dell’Anm, che diversamente da quanto aveva fatto poche ore prima Calderone non si chiede quante volte propri associati abbiano aperto indagini su fughe di notizie, né se sia il caso che qualcuno (un pm?...) la apra riguardo alle notizie su Nordio. È la campagna referendaria anticipata, bellezza? Come no. Ma allora ditelo.

Nel merito, secondo le informazioni confusamente trasferite ai giornali dalla talpa dell’indagine sul guardasigilli, l’allora capo dipartimento Affari di giustizia di via Arenula Luigi Birritteri avrebbe inviato a Bartolozzi una mail in cui segnalava già domenica 19 gennaio che serviva un’autorizzazione del ministro perché la Corte d’appello di Roma potesse ordinare l’arresto di Almasri. Basterebbe, sempre secondo la talpa, a dimostrare che sia Bartolozzi sia Nordio avevano acquisito già in quella domenica di gennaio gli atti provenienti dalla Corte dell’Aia, contenenti le accuse a carico dell’ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli.

Ma sempre la talpa non fornisce indicazioni che provino tale anticipata conoscenza formale, effettiva, degli atti. E, forse in un sussulto di prudenza, chi ha trasferito le informazioni ai due giornali segnala a un certo punto come a premere perché arrivasse l’autorizzazione di Nordio fosse la Corte d’appello di Roma, cioè la magistratura, che potrebbe aver avuto accesso già domenica 19 gennaio a quella “piattaforma Prisma” dov’erano stati appena depositati (da un magistrato in servizio a L’Aia) le carte della Corte penale internazionale.

Bartolozzi ha dichiarato al Tribunale dei ministri di aver aperto quei file solo lunedì 20 gennaio. Il 5 febbraio Nordio ha detto alla Camera che fino al lunedì, appunto, non c’era chiarezza né ordine sulle accuse ad Almasri. La talpa dell’inchiesta, pur con tutti i suoi prodigiosi, e criminali, sforzi, manco è riuscita a dimostrare che davvero Bartolozzi e Nordio avessero in realtà ricevuto già la domenica tutto il carteggio, anziché una sommaria e inservibile informazione a voce, come il guardasigilli ha detto alla Camera.

Sulla base di questa piuttosto claudicante spy story, il centrosinistra ha invocato, come detto, prima le dimissioni (alla faccia della presunzione d’innocenza) e poi un’informativa di Nordio. Pure sulla versione derubricata della pretesa, Luca Ciriani, ministro ai rapporti col Parlamento, deluderà le attese verso le 5 del pomeriggio, per dire che «certo non si farà domani», cioè oggi. Via Arenula, a quanto risulta, ha deliberatamente preferito non replicare con propri comunicati stampa. Non si può escludere che il ministro della Giustizia inviterà i focosi avversari ad attendere la conclusione delle indagini “consegnate”, dal procuratore di Roma Franco Lo Voi, al Tribunale dei ministri, il quale a propria volta non ha ancora formulato alcun avviso di conclusione (prova certa della persistente sussistenza del segreto istruttorio).

Forse almeno Nordio farebbe bene, in effetti, a rispettarlo, il segreto d’indagine, considerato che una seconda relazione al Parlamento potrebbe solo riprodurre i reati (sempre l’articolo 326 del codice penale) già consumati. D’altra parte, su questi ultimi, siamo pronti a scommettere che non verrà aperta un’inchiesta parallela, nonostante l’obbligatorietà consacrata dall’articolo 112 della Costituzione. E temiamo che l’ironica interrogazione di Calderone (“quante inchieste per fughe di notizie...”) sia destinata a restare, appunto, una domanda retorica.