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Incidente Probatorio in Questura per il caso dell’omicidio di Chiara Poggi Garlasco - Milano, Italia - Martedì, 17 giugno 2025 (foto Stefano Porta / LaPresse) Evidentiary Incident at Police Headquarters for the murder case of Chiara Poggi Garlasco - Milan, Italy - Tuesday, 17 June 2025 (photo Stefano Porta / LaPresse)
C’è dunque la firma dell’assassino sulla bocca di Chiara Poggi? Se non fosse giusto e doveroso coltivare il dubbio, proprio come ci suggerisce la nostra testata, oggi potremmo tranquillamente osare un titolo controcorrente, del tipo “Non esiste Ignoto 3”, nelle indagini sull’uccisione della ragazza di Garlasco.
Non è sulle sue labbra né nella sua saliva che troveremo il nome di chi l’ha uccisa o è stato complice del delitto. Perché le probabilità che non sia così sono altissime e varrebbero scommesse anche impegnative. Dunque, le cose stanno in questo modo, ci dicono i tecnici genetisti che sono impegnati da un mese nei ri-esami di tutto ciò che era presente sulla scena del delitto, la ormai arcinota villetta di via Pascoli a Garlasco, provincia di Pavia, dove la ragazza è stata assassinata. Con modalità che non dovrebbero esser più messe in discussione.
Primo: la ragazza, quel 13 agosto del 2007, si era da poco alzata e stava facendo colazione sul divano con la tv accesa. Secondo: la persona che ha suonato al cancello e che lei ha fatto entrare era sicuramente in confidenza, tutti coloro che la conoscevano affermano che mai avrebbe aperto con un pigiamino succinto a uno sconosciuto o a un uomo di rara frequentazione. Terzo: la prima aggressione è stata quasi immediata e la ragazza non ha neppure tentato di difendersi, poi il corpo già a terra è stato colpito di nuovo e infine buttato giù dalle scale che portavano alla cantinetta. Quarto: il delitto è stato commesso alle 9,12 del mattino.
Quando cinque ore dopo, avvertiti dal fidanzato di Chiara, Alberto Stasi, i carabinieri sono entrati nella villetta, i locali erano pieni di sangue, anche se in gran parte essiccato. La mancanza di tracce ematiche sotto le suole delle scarpe di Stasi, che ha dichiarato di esser arrivato nella casa intorno alle 13,30 e di aver trovato Chiara morta, è stata uno degli elementi che hanno portato alla sua condanna. L’unica traccia di sangue a oggi esistente è quella di una scarpa numero 42, la dimensione del piede di Stasi ma non di Sempio.
Oggi la scena è del tutto cambiata, perché insieme al condannato Stasi, che potremmo chiamare “Noto uno”, c’è l’indagato Andrea Sempio, “Noto due”, che sarebbe il vero assassino, secondo la procura di Pavia, ma “in concorso” con altri. Ecco perché esiste la necessità di trovare almeno un secondo uomo, se non un terzo, che quella mattina del 13 agosto 2007 sia andato in spedizione di gruppo ad ammazzare Chiara. Ma prima di tutto occorre individuare qualche prova della colpevolezza di Sempio. E finora non esistono neppure indizi.
Quello che potrebbe essere il più forte è quello che si fonda su una consulenza della procura di un anno fa, affidata al professor Previderè, ma che per ora ha scarso valore in quanto la comparazione con le unghie di Chiara era stata effettuata con tracce del dna (forse) di Sempio recuperate da investigatori privati assunti dalla famiglia Stasi. E sì, perché la parte più attiva, a partire dal 2016, la stanno svolgendo gli infaticabili difensori del condannato, prima Angelo Giarda (in seguito deceduto) e Giada Bocellari, ora accompagnata da Antonio De Rensis.
Spesso paiono loro i veri pubblici ministeri contro Andrea Sempio. Basta scorrere i giornali degli ultimi due mesi per trovare, attraverso i titoli più gridati, tutti i fallimenti che questa inchiesta ha già portato a casa. Nei confronti di Andrea Sempio non esiste alcun indizio. Esaminiamo i diversi tentativi di “incastrarlo”. La traccia numero 33 sul muro prospiciente le scale, di cui esiste solo una foto: non è insanguinata, non è databile e neanche attribuibile a nessuno. E pensare che il procuratore Napoleone ci ha persino speso un comunicato.
Poi si è passati a gridare alla “scoperta” di reperti nella spazzatura. Chi ha fatto colazione con Chiara la mattina del delitto? Sono stati momenti importanti all’interno dell’incidente probatorio. Grande delusione, le uniche tracce di dna appartengono alla ragazza e al fidanzato Stasi. Il quale ha un brutto inciampo, perché i reperti della sera precedente il delitto confermano che i due avevano mangiato la pizza e lui aveva bevuto una birra. Ma non ha detto niente dell’Estatè, e sulla cannuccia c’è il suo dna. Quando l’ha bevuto? Forse al mattino? Ahihai, efficientissimi avvocati del bocconiano, non avete ancora spiegato come la mettiamo con questo particolare.
Di Sempio comunque nessuna traccia. E non parliamo della scenografia hollywoodiana del 14 maggio. Perquisizioni durate dieci ore a Sempio, i suoi genitori e due suoi amici. Che cosa è stato trovato? Se fosse “spuntato” qualcosa di interessante lo sapremmo già, visto che a Garlasco si vive ormai su un quotidiano palcoscenico. Per non parlare della “buffonata” (ce lo consente, procuratore Napoleone?) del dragaggio, nella stessa giornata, del canale di Tromello, con il ritrovamento di quattro ferri vecchi, che poi uno dei tanti “supertestimoni” attribuirà a proprio merito, ma anni prima. Zero assoluto su tutta la linea.
L’unico dato certo, dall’inizio dell’incidente probatorio del 17 giugno, è che non vi è traccia di Andrea Sempio: nulla nelle sessanta tracce repertate, prive di sangue, né sul tappetino del bagno dove l’assassino si è lavato le mani, né su nessuno degli oggetti trovati nella pattumiera. E neppure sulla traccia numero 10, la famosa impronta sulla porta d’ingresso, che secondo l’accusa sarebbe quella dell’assassino. Ebbene, non solo non è attribuibile a Sempio, ma neppure all’assassino, visto che non contiene sangue.
Concludiamo con la scommessa, quella che riguarda il tampone orale di Chiara Poggi. Gli esperti ci hanno spiegato in questi giorni che sulla saliva il dna rimane solo alcuni secondi. Se esistesse “Ignoto tre”, assassino o complice, dobbiamo pensare a un soggetto che abbia baciato la ragazza o le abbia messo una mano sulla bocca subito prima di ucciderla, o mentre l’assassino la colpiva. Immagini tragiche e suggestive. Ma quegli esami ci hanno già detto qualcosa, e cioè che “non si tratta di tampone sterile, ma di una garza presa in sala autoptica”, al solo scopo di acquisire materiale genetico della ragazza. E il primo risultato afferma che si è trattato di Dna in contaminazione.
In particolare ce ne è una parte riferibile all’assistente del medico legale incaricato dell’autopsia, e una seconda parte sicuramente ancora della stessa persona ma non del tutto, perché un pezzettino, in quantità residua, potrebbe risalire a un’altra persona. Ma stiamo parlando sempre di contaminazione.
Quindi si passerà dai medici a tutti coloro che per svolgere diversi compiti furono in contatto con quel corpo e con quella garza non sterile, quindi ricca di batteri. Una trentina i persone. Ma sì, facciamo anche questo. L’estate sarà lunga, da qui al 24 ottobre, data dell’appuntamento davanti alla gip Daniela Garlaschelli. E ne vedremo ancora tanti, di titoloni.