A proposito della trasmissione televisiva del Procuratore Capo Gratteri. La polemica nata dall’incarico del Procuratore Capo di Napoli quale partecipante ad una trasmissione televisiva su La7, offre lo spunto per chiarire se un magistrato in servizio possa o meno svolgere tale attività.

Il CSM ha prodotto una circolare (n. 22581/2015) che specifica quali attività sono consentite e quali sono soggette ad autorizzazione da parte dell’organo di autogoverno dei giudici. Sono liberamente espletabili e non richiedono alcuna autorizzazione la partecipazione a trasmissioni radiotelevisive o telematiche, perché espressione di diritti fondamentali, quali la libertà di manifestazione del pensiero, di esplicazione della personalità (art. 1.1). Tuttavia, il successivo art. 4.2-bis specifica che è soggetta ad autorizzazione la partecipazione, programmata, continuativa e non occasionale, anche se gratuita, a trasmissioni televisive, radiofoniche ovvero diffuse per via telematica, da chiunque gestite, nelle quali vengono trattate specifiche vicende giudiziarie ancora non definite nelle sedi competenti.

E il CSM può autorizzare lo svolgimento di tale attività allorché sussista un effettivo ed obiettivo interesse pubblico all’espletamento dell’incarico e sempre che siano escluse situazioni pregiudizievoli, anche solo potenzialmente, per l’immagine di imparzialità del magistrato e per il prestigio della magistratura. Inoltre, l’effettivo ed obiettivo interesse pubblico all’espletamento dell’incarico, deve essere espressamente motivato (art. 4.2).

Questo perché è impossibile distinguere quanto venga manifestato in qualità di persona fisica e quanto venga manifestato in qualità di titolare di pubblico ufficio, essendo l’importanza della carica pubblica tale da assorbire ogni manifestazione anche privata dei titolari della stessa. Per queste ragioni, vi sono specifiche disposizioni normative che ribadiscono la centralità del tema dell’imparzialità del giudice anche fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, il quale non deve tenere comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o dell’istituzione giudiziaria.

È considerato illecito l’uso strumentale della qualità che, per la posizione del magistrato o per le modalità di realizzazione, è idoneo a turbare l’esercizio di funzioni costituzionalmente previste e ogni altro comportamento tale da compromettere l’indipendenza, la terzietà e l’imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell’apparenza. Così la condotta tenuta dal magistrato al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni può e deve essere censurata qualora possa ragionevolmente interferire con lo svolgimento dell’attività istituzionale, anche al di là di qualsivoglia negligenza ad egli attribuibile.

La necessità di garantire un’apparente imparzialità è emersa per la prima volta nella common law inglese nel leading case The King v. Sussex Justices del 1924 da cui nacque il celebre aforismo “not only must Justice be done; it must also be seen to be done”.

E proprio nel Regno Unito, la culla della freedom of expression, per evitare in radice ogni situazione potenzialmente lesiva del prestigio e dell’immagine del corpo giudiziario, lo Judicial Office, un ufficio del Ministero della Giustizia ha emanato una direttiva per gli appartenenti alla magistratura: per costoro non è vietato avere rapporti con i media ma devono omettere ogni riferimento alla loro appartenenza al corpo giudiziario, limitandosi dunque ad esprimere opinioni o commenti su fatti estranei al sistema giudiziario.

E più in generale, secondo tali disposizioni, tutti i magistrati non devono commentare pubblicamente la portata di leggi o proposte governative o il merito di singoli casi giudiziari. L’esatto contrario di quanto avvenuto di recente con il Massimario della nostra Cassazione.