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Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio in occasione dell’esame delle norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare . Senato a Roma Mercoledì 18 Giugno 2025 (foto Mauro Scrobogna / LaPresse) Minister of Justice Carlo Nordio on the occasion of the examination of the rules on the jurisdictional system and the establishment of the disciplinary court. Senate in Rome Wednesday June 18 2025. (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse)
Ci siamo, giorno più giorno meno: la separazione delle carriere è vicina al primo giro di boa, a completare la prima navetta. Poi il secondo round da settembre, più svelto, quindi il referendum, se tutto fila liscio, a marzo o aprile 2026. Dopo 34 anni la politica si prenderà la rivincita.
Non una vendetta per Mani pulite, ma un ritorno alla normalità, al Parlamento che rivendica il proprio primato sull’ordine giudiziario al punto da riformarlo, senza temere che la magistratura insorga o si vendichi. Perché nelle democrazie, nelle democrazie vere, ognuno sta al proprio posto ed esercita il proprio potere nei limiti e con l’ampiezza consentita dalla Costituzione.
Se davvero la sequenza si completerà e avremo un ordinamento giudiziario ridisegnato dalla politica, si realizzerà insomma un riequilibrio. E naturalmente il riequilibrio riguarderà non solo il rapporto fra poteri, ma pure il processo penale nel senso più vero del termine. Un giudice la cui carriera non dipenderà più da un Csm nel quale la vera forza è in mano alle correnti, a loro volta egemonizzate da pubblici ministeri, ecco, questa bizzarria che per l’Anm è assoluta normalità sarà consegnata al passato, e al ricordo di trentaquattro lunghi anni di democrazia a basso tenore.
Sarà un riscatto, e un ritorno al vero disegno dei costituenti (basta studiare, per scoprirlo) con ricadute immediate e provvidenziali per qualsiasi cittadino indagato, per chiunque sia destinatario di un processo penale. Chi si troverà sotto accusa avrà davanti a sé un giudice davvero terzo, cioè estraneo al pm, che sarà semplicemente una “parte” al pari della difesa. Punto, a capo. Si chiama garantismo, c’è poco da obiettare. Sebbene la magistratura, legittimamente, insisterà nel parlare di golpe giudiziario, saremo di fronte a una svolta liberale. Auspicabile, attesa dal 1989, dall’introduzione del Codice Vassalli, e finalmente realizzata.
Autore della svolta sarà, nel caso, una coalizione di centrodestra che non può definirsi tipicamente garantista e liberale, nel campo della giustizia. Da una parte il governo Meloni, e la maggioranza che sostiene quel governo, spingono per separare le carriere, e hanno alle spalle già altre misure importanti, come i vari provvedimenti contro le intercettazioni a strascico, il divieto di spiare le conversazioni fra avvocati e assistiti e l’abrogazione di un reato troppo paralizzante perché i benefici potessero bilanciarne i costi qual era l’abuso d’ufficio.
Ma lo stesso governo e la stessa maggioranza sono stati capaci di inventarsi, uno per tutti, il disumano reato di rivolta in carcere, mente i detenuti soffocano in prigioni sporche, con il wc a fianco ai fornelli dove si cucina, a 45 gradi di temperatura, con un sovraffollamento da galere medievali e, insomma, con un grado di civiltà indegno dell’Occidente progredito. Non solo il governo Meloni e il centrodestra inventano il reato del recluso che perde la calma a fronte della tortura quotidiana inflittagli, ma ancora esitano dal procedere a ridurre almeno di un 7-8 per cento la popolazione detenuta, come avverrebbe in pochi mesi se la legge Giachetti fosse approvata. Da una parte separano le carriere, dall’altra lasciano esplodere le carceri. Garantisti, indiscutibilmente garantisti, su un fronte, crudeli, al limite del disumano, sull’altro.
Il punto è che la crudeltà sulle carceri sconfessa la liberazione dalla magistratura onnipotente realizzata con la separazione delle carriere. La riforma Nordio è anche un atto di insubordinazione rispetto alla cultura giustizialista, che inquina, piaccia o no, buona parte della società italiana. È una ribellione, quella riforma, alla deriva iniziata nel ’92 con Mani pulite. Ma governo e centrodestra, con l’inerzia sulle carceri, dimostrano di non essersi affrancati abbastanza, dalla soggezione a quel giustizialismo, nel momento in cui temono di urtare l’opinione pubblica intransigente con un pur minimo sconto di pena. Si sono liberati dal giogo, insomma, ma fino a un certo punto. L’idea manettara per cui chi sbaglia deve pagare con la reclusione in carceri infernali non si sradica. È ben incistata in una parte dell’elettorato, meloniano e leghista soprattutto, e né FdI né il Carroccio intendono deludere questi “sentimenti”.
Siete ancora nelle mani del pool di Milano, cari Meloni, Delmastro, Mantovano e Nordio. Siete ancora prigionieri del loro potere, della loro mitologia. Del capovolgimento di valori provocato dalla “rivoluzione giudiziaria”. La Prima Repubblica sarà pure stata popolata da torve di mariuoli, ma nessun governo di quell’Italia avrebbe mai lasciato che in carcere si suicidasse un centinaio di persone l’anno.
Di amnistie e indulti ce ne furono, eccome. E se voi, dalla presidente del Consiglio al sottosegretario alla Giustizia, pensate davvero di ripristinare il primato della politica con la sola separazione delle carriere, sappiate di essere degli illusi: finché lascerete marcire persone in carcere con un sovraffollamento del 130 per cento, quel primato continuerete a lasciarlo nelle mani del dogma forcaiolo e quindi, in ultima analisi, delle Procure. La vostra non sarebbe neppure una rivoluzione a metà, ma solo una subordinazione mascherata.