Valery Gergiev è senz’altro un sostenitore di Vladimir Putin ma è anche un grandissimo direttore d’orchestra, uno dei più stimati al mondo. È per questo che è stato invitato alla rassegna Un’Estate da RE nella suggestiva cornice della Reggia di Caserta, accompagnato dall’Orchestra Filarmonica “G. Verdi” di Salerno assieme a solisti del Mariinsky di San Pietroburgo, il suo teatro feticcio.

Non deve discutere di conflitti internazionali, dell’annessione della Crimea o partecipare a un dibattito sulla guerra in Ucraina, ma semplicemente dirigere un’orchestra. Pretendere che l’esibizione venga annullata «per non favorire la propaganda di Mosca» è una forma di fanatismo politico e di violenza simbolica del tutto speculare a quella della Russia odierna dove musicisti, cineasti e intellettuali subiscono ogni giorno la censura di Stato.

È comprensibile la contrarietà di Yulia Navalnaya, vedova del dissidente Alexei Navalny arrestato e ucciso dal regime, ma ai parenti delle vittime non si può certo chiedere equidistanza. Si deve chiederlo invece a tutti coloro che dall’invasione dell’Ucraina hanno alzato muri per cancellare ogni forma di cultura russa.

Dal 2022 in poi, centinaia di artisti russi sono stati boicottati dalle istituzioni e dalle accademie europee e americane non per quello che hanno detto o fatto, ma per la loro nazionalità. A tutti è stato chiesto di dissociarsi pubblicamente dalle politiche di Putin, di fatto un’abiura come ai tempi della Santa inquisizione. Il violinista Maxim Vengerov, artista di fama mondiale residente in Europa da anni, è stato rimosso nel 2022 dalla giuria del Concorso Menuhin. Il direttore d’orchestra Tugan Sokhiev ha dovuto dimettersi nel 2022 dalla direzione dell’Orchestre National du Capitole di Tolosa. Persino alcuni compositori morti da secoli – come Tchajkovskij o Musorgskij – sono stati esclusi dai programmi concertistici in Polonia.

In nome della legittima solidarietà all’Ucraina, si è così generata una caccia alle streghe indegna per dei paesi democratici. La strumentalizzazione della cultura a fini politici è infatti un marchio di fabbrica della propaganda autoritaria di Mosca. Quando si impedisce a un artista di esibirsi per via del suo passaporto, si riproduce lo stesso schema autoritario che condanniamo altrove. Aveva ragione Roland Barthes: «Il fascismo non è impedire di dire, ma obbligare a dire».