Il grande circo è già stato allestito, pronto per l’autunno. L’ingombrante ricordo dell’espulsione di quel personaggio sgradevole che porta il nome di Almasri la farà da padrone. Entro i 90 giorni di prammatica, il Parlamento respingerà. 

Dirà no al Tribunale dei ministri che accusa tre uomini di governo: Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano. Ma tutto quel che succederà prima sarà il grande circo, con la richiesta della diretta tv per la discussione d’aula, con la gara di esibizionismo cui non vorrà sottrarsi nessuno degli esponenti delle minoranze. E chi non riuscirà ad affacciarsi alle telecamere o non potrà prendere la parola nel corso della diretta, potrà sempre imitare quel che fece Riccardo Magi, travestendosi da fantasma.

I registi paiono fin da ora Angelo Bonelli e Nicola Fratojanni, i quali hanno già annunciato di voler denunciare l’intero governo alla Corte dell’Aia. Ma non sarà secondo il partito di Giuseppe Conte, che ha già dato prova della propria capacità creativa durante il question time di mercoledì scorso, travestendo i propri deputati con i colori della bandiera palestinese. Dimenticando, come se i parlamentari fossero semplici manifestanti “propal” del sabato pomeriggio, la tremenda data del 7 ottobre e la spaventosa attività terroristica di Hamas.

Ma tutto farà brodo, nel grande circo d’autunno che avrà come primo, ma non unico scenario, il Parlamento. Ci sarà anche un altro percorso parallelo, e sarà quello che si concentrerà nei corridoi del palazzo di giustizia di Roma e forse in seguito in un’aula di tribunale. E porta il nome di Giusi Bartolozzi, l’ex magistrata ed ex deputata eletta con Forza Italia, da tre anni capo di Gabinetto del guardasigilli. Il suo nome è citato, nelle novanta pagine vergate dal Tribunale dei ministri, più volte di quelli di coloro per cui viene richiesta l’autorizzazione al processo per i reati di favoreggiamento, peculato e omissione di atti d’ufficio. Ed è stato anche oggetto di polemica col presidente del sindacato dei magistrati, Cesare Parodi. Il quale, a una specifica domanda di un giornalista, aveva risposto in modo candidamente esplicito: «Un processo dove vengono accertati, magari in via definitiva, certi fatti ha evidentemente una ricaduta politica neanche tanto indiretta sulle persone coinvolte…».

Così il “caso Almasri”, dopo esser di diventato il “caso Meloni” quando la premier ha assunto su di sé ogni responsabilità, è via via diventato il “caso Bartolozzi”. Si è così trovata la via più facile per aggirare il Parlamento e portare tutta quanta la vicenda negli uffici della procura, e poi eventualmente in un’aula di tribunale. Apparentemente con una sola indagata, o imputata. Ma nella sostanza con l’intero governo sul banco degli accusati. Perché, se la teste Bartolozzi è stata considerata “mendace” dal Tribunale, le sue dichiarazioni non possono esser considerate un puro atto formale. È chiaro che le giudici considerano la capo di Gabinetto quanto meno corresponsabile nei reati che vengono attribuiti al ministro Nordio: il favoreggiamento nei confronti del generale libico Almasri, l’omissione di atti d’ufficio rispetto alle richieste della Corte dell’Aia e il peculato per la messa a disposizione dell’aereo di Stato.

Ed è singolare il fatto che lo stesso Tribunale abbia stralciato la posizione della dottoressa Bartolozzi, indicando per lei un altro percorso giudiziario.

Lo fa notare, con argomenti molto convincenti, il costituzionalista Salvatore Curreri, con un articolo sull’Unità e un’intervista al Foglio. È proprio alla norma costituzionale, ma anche alla legge 219 ( art. 4 c. 2 ) del 1989, che il docente dell’università di Enna fa riferimento. Perché la norma prevede che lo stesso Tribunale debba valutare se sussiste un prevalente interesse pubblico, non solo nel giudicare l’attività di un ministro, ma anche quella di eventuali terze persone che a quei comportamenti abbiano concorso. L’aver stralciato la posizione di Giusi Bartolozzi sarebbe quindi un atto illegittimo. Questo sul piano della correttezza delle procedure.

Ma sul piano politico il risultato è molto chiaro. Perché l’ipotesi dell’apertura di una sorta di processo parallelo, ma affidato all’iniziativa del procuratore Francesco Lo Voi e poi di un eventuale gip e infine, sempre in via ipotetica, a un Tribunale ordinario, aprirebbe proprio a quel risultato politico cui aveva accennato il presidente dell’Anm Parodi. Sarebbe davvero anche un secondo grande circo mediatico. Ed è chiaro che i partiti di opposizione al governo Meloni non aspettano altro. Perché a quel punto la dirigente del ministero di via Arenula (a proposito, cari colleghi giornalisti, perché non la piantate di definirla “zarina”? E le femministe, perché non la difendono?) non sarebbe più solo un vaso di coccio, l’unica non coperta da immunità. Ma diventerebbe suo malgrado una mina vagante sparata sul governo.

E nessuno potrebbe più negare il fatto che tutta quanta l’operazione giudiziaria abbia un sicuro evidente sapore politico.