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LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI
La sinistra «vuole provare a liberarsi degli avversari per via giudiziaria, perché alla via democratica ha rinunciato da un pezzo». Alla fine Giorgia Meloni ha scelto la linea del fuoco. E lo ha fatto con modalità che non sembrano certo improvvisate, in tre mosse distribuite in tre giorni. Prima un post social, poi un’intervista in prima serata, infine una bordata su Facebook. Tutto nel segno di una strategia precisa: alzare il livello dello scontro, puntare il dito contro la magistratura e l’opposizione sua alleata, accusata di voler ribaltare il verdetto elettorale passando per le aule di tribunale.
Un conflitto che potrebbe suggerire un deja-vu anni 90, ma che in realtà è cosa diversa e lascia intuire una difficile ricomposizione fino a quello che ora – parafrasando quanto detto da Meloni per il premierato quando questo era da lei ritenuto l'obiettivo principale del suo governo – è diventato il “padre di tutti i referendum”, vale a dire quello sulla separazione delle carriere che si terrà verosimilmente la prossima primavera.
La miccia, come è noto, si è accesa con la richiesta di autorizzazione a procedere avanzata nei confronti di due ministri e un sottosegretario per il caso Almasri. Il governo ha subito fatto quadrato, ma è stata Meloni in persona a guidare la reazione, affidando a X la prima stoccata: un messaggio secco in difesa della sua squadra, ma anche un avvertimento ai giudici. Poi è toccato al Tg5 ospitare la parte catodica della sua controffensiva, in un’intervista dai toni netti, con accuse esplicite a «pezzi di magistratura» che, secondo la premier, starebbero perseguendo «un disegno politico contro l’azione dell’esecutivo», in particolare sulla gestione dei flussi migratori.
Parole pesanti, che arrivano non per caso proprio mentre in Parlamento prende quota la riforma della giustizia targata Nordio, a partire dalla separazione delle carriere tra giudici e pm. Il messaggio, è stato chiaro: chi si oppone alla riforma non lo fa in nome dell’equilibrio tra poteri, ma per tutelare una rete di potere che – nell’analisi della premier – ha già deciso di ostacolare il governo per via giudiziaria.
Il terzo atto dell’escalation è arrivato ieri mattina, con un nuovo post social, stavolta su Facebook. Qui Meloni fa nomi e cognomi: «Leggo che alcuni esponenti della sinistra come Bonelli, Fratoianni e compagnia vorrebbero segnalare il Governo italiano alla Corte Penale Internazionale. Gli stessi che, giusto qualche tempo fa, chiedevano a Bruxelles di aprire una procedura di infrazione contro l’Italia. Ora puntano addirittura a un processo internazionale, tirando in ballo il dramma umanitario a Gaza in modo del tutto strumentale, come se perfino questo fosse colpa nostra. Tre cose», prosegue la premier, «sono ormai chiare a tutti: la prima è che, non riuscendo a batterci in patria, la sinistra cerca sempre il soccorso esterno. La seconda è che dell’immagine dell’Italia e della sua reputazione nel mondo, a loro, non importa assolutamente nulla. La terza è che ormai hanno un’unica strategia e speranza: provare a liberarsi degli avversari per via giudiziaria, perché alla via democratica hanno rinunciato da un pezzo. Non riusciranno», conclude.
È un passaggio che segna una cesura. Non solo perché Meloni abbandona ogni prudenza istituzionale, ma perché suggella la nascita di una fase da campagna elettorale permanente. Nulla, in questa sequenza, appare improvvisato. Anzi. La scelta dei tempi e dei bersagli sembra calibrata da quel cerchio ristretto che accompagna ogni decisione strategica della premier. A partire dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, regista silenzioso ma centrale delle principali mosse comunicative di Palazzo Chigi.
È in quest’ottica che va letta anche la trasferta nelle Marche di inizio settimana, nella quale Meloni ha arringato i militanti di Fratelli d’Italia accanto al governatore Francesco Acquaroli, dando il via di fatto alla “campagna d’estate” del partito. Le reazioni, ovviamente, non si sono fatte attendere.
La giunta dell'Associazione nazionale magistrati, in una nota, ha replicato duramente: «I magistrati non fanno politica, fanno il loro mestiere ogni giorno nonostante insulti, intimidazioni e una campagna costante di delegittimazione che danneggia i fondamenti stessi del nostro Stato democratico. La magistratura italiana», prosegue la nota, «continuerà a svolgere il proprio compito con profondo rispetto del mandato costituzionale. Non esiste alcun disegno avverso all'esecutivo, affermarlo significa non comprendere il funzionamento della separazione dei poteri dello Stato».
Per i consiglieri togati di Unicost del Csm «le dichiarazioni del presidente del Consiglio, che attribuisce alla magistratura l'intenzione di realizzare un 'disegno politico' per ostacolare la scelte del governo in materia di immigrazione o per attaccare esponenti della maggioranza in vista della riforma costituzionale, sono inaccettabili». Sul fronte politico, la segretaria del Pd Elly Schlein ha accusato la premier di tenere un «atteggiamento eversivo», mentre per il leader del M5s Giuseppe Conte la presidente del Consiglio «piagnucola su social e in tv, dove ha inaugurato un nuovo genere: l'intervista senza domande». Quel che è certo, è che la premier ha deciso di indossare nuovamente il proverbiale “elmetto”.