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Manifesti per il referendum
È partito il rush finale per la campagna elettorale sui referendum di domenica e lunedì su lavoro e cittadinanza, e il dibattito sui quesiti si interseca per forza di cose con le due iniziative delle opposizione sulla guerra di Gaza, dall’iniziativa del fu terzo polo alla manifestazione organizzata da Pd, M5S e Avs.
Negli stessi minuti in cui venerdì il segretario della Cgil Maurizio Landini terrà il suo discorso conclusivo a piazza Testaccio a Roma, comincerà l’evento di Azione e Iv al Teatro Parenti di Milano a sostegno di Israele e Palestina ma contro il governo Netanyahu, chiedendo a gran voce il rilascio degli ostaggio ancora in mano ad Hamas e la liberazione della Striscia dai terroristi.
Landini punterà tutto sui quesiti sul lavoro, con il grande nemico Jobs Act, riforma simbolo degli anni del renzismo al potere, sul banco degli imputati. «Un evento per invitare tutte e tutti a votare Sì ai cinque quesiti referendari dell’ 8 e 9 giugno - si legge nella scheda lancio dell’iniziativa - Cinque Sì per cancellare il Jobs Act, contrastare la precarietà, porre fine ai licenziamenti ingiusti, garantire più sicurezza sul posto di lavoro e per riformare il diritto di cittadinanza».
Il segretario della Cgil sarà stasera ospite di Enrico Mentana per un confronto proprio con Matteo Renzi a tema Jobs act, che si prevede ricco di botta e risposta. Landini ieri è tornato anche ad attaccare la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, spiegando che andare al seggio e non ritirare le schede «è un po’ come andare a palazzo Chigi e non governare», definendo poi la leader di FdI «irresponsabile».
Toni molto simili a quelli della segretaria del Pd Elly Schlein, secondo la quale dalle parole della presidente del Consiglio «non si capisce cosa dice». Ma subito dopo la leader dem torna sul convinto sì ai quesiti sul lavoro, che tanto stanno facendo discutere nel partito. «Noi abbiamo fatto una Direzione in cui abbiamo votato e non ci sono stati voti contrari e quindi la linea ufficiale del Pd è di sostegno ai referendum con 5 sì - ha detto Schlein - Poi non chiediamo abiure personali a nessuno ma questo referendum è anche un’occasione di un’autocritica rispetto a errori del passato come non aver cambiato la legge sulla cittadinanza quando si poteva provare a farlo quando si era al governo».
Errori che però non sono tali secondo i riformisti dem, che non ritireranno le schede (o alcune di esse) sul lavoro. Tra loro l’ex sindaco di Bergamo e oggi europarlamentare Giorgio Gori, che ieri ha ripostato un vecchio tweet in disaccordo con la linea della segretaria. «Oggi non ho partecipato al voto sulla relazione di Elly Schlein alla direzione Pd, in disaccordo sul referendum Jobs Act. Capisco la posizione della segretaria, coerente con la sua storia politica, ma non condivido la scelta di schierare
il partito a sostegno del “sì” - scriveva il 27 febbraio scorso - Quella voluta dal Pd è stata infatti una buona legge, che ha migliorato le politiche del lavoro, senza aumentare né i licenziamenti né la precarietà. E tornare a dieci anni fa, ora che il problema è la carenza di personale, è dal mio punto di vista un errore politico».
Gli stessi riformisti che non sosterranno il sì sui referendum sul lavoro prenderanno anche parte all’iniziativa centrista a Milano, dove si alterneranno sul palco politici e figure della società civile a sostegno dello slogan “due popoli, due Stati”.
Per Iv è «folle» che il centrosinistra si sia diviso, sia sui referendum che sulle iniziative del weekend. «È folle, infatti, dividersi su quesiti referendari che modificano leggi scritte da chi promuove il referendum. Non tanto il Jobs act, ma la modifica promossa da Conte che diceva così di aver sconfitto la precarietà, per tornare poi alla Monti- Fornero, prevedendo tra l’altro, qualora il quesito passasse, 24 mesi di indennizzo per i lavoratori e non più 36 - scrive il capogruppo di Iv alla Camera Davide Faraone - Folle dividersi anche venerdì e sabato in due manifestazioni che potevano essere una se soltanto si fosse accettato, oltre alla giusta condanna per la carneficina e la carestia organizzata militarmente da Netanyahu, anche il rifiuto ( non scontato) di ogni forma di antisemitismo».
Ma per il vicesegretario di Azione Ettore Rosato la colpa non è certo dei centristi. «Avevamo chiesto a Pd, Avs, 5 Stelle di mettere all’interno della piattaforma della manifestazione del 7 giugno, organizzata peraltro in un giorno di silenzio elettorale, alcuni punti in maniera definita e netta: la lotta contro l’antisemitismo e la condanna di Hamas come movimento terroristico. Siccome ci hanno risposto di no, ci siamo organizzati in maniera alternativa - ha detto a Sky Faremo una manifestazione in cui queste cose saranno evidenti dentro a un forte messaggio di condanna alla destra di Netanyahu, al suo governo e a questa strage di civili a Gaza che è inaccettabile da una democrazia».