Ne resterà soltanto, diceva la frase più famosa di Highlander. In questo caso, non ne è rimasto nessuno. Dopo mesi di attacchi, insulti, volgarità, colpi bassi, deputati e senatori scappati dall’altra parte, alcuni riacchiappati, altri considerati traditori, insomma dopo mesi di guerra fratricida è finita nell’unico modo in cui poteva finire. Matteo Renzi e Carlo Calenda sono rimasti sotto la soglia di sbarramento per entrare al Parlamento europeo, e dunque né gli Stati Uniti d’Europa, lista di scopo messa in piedi dall’ex presidente del Consiglio con la sua Italia viva assieme a Più Europa di Emma Bonino, né Azione, eleggono europarlamentari. Il che significa che dall’Italia non arriverà alcun membro al gruppo europeo riformista liberale di Renew.

Uno smacco clamoroso per entrambi; per Renzi, perché negli Stati Uniti d’Europa sembrava crederci davvero e a dieci anni dal trionfo delle Europee del 2014 il tonfo di domenica sera rappresenta un fallimento dal quale sarà difficile ripartire; per Calenda, perché ha deciso di andare consapevolmente in direzione ostinata e contraria convinto delle sue scelte, delle sue liste, «le migliori di sempre per competenze», fino a schiantarsi contro una soglia in fin dei conti alla portata. E invece niente.

Gli elettori moderati e riformisti non hanno perdonato a entrambi una mossa che è sembrata assurda, cioè la rottura di quel terzo polo che pure alle Politiche è andato ben oltre il 7 per cento e, fosse proseguito anche nei mesi successivi fino a queste Europee, poteva consolidarsi come area di riferimento tra i due poli. E invece, come figli prodighi, quegli elettori sono tornati da papà Silvio, o meglio da zio Antonio, fidandosi del mantra azzurro che è lo stesso da sempre: una forza europeista, liberale, cristiana e garantista, in ordine sparso.

«Si può cadere ma ci si rialza e si continua a combattere, quello che conta è il coraggio di continuare, lo faremo aprendo una grande costituente dei riformisti, da domani come ieri - ha detto ieri Calenda in conferenza stampa - Ho cercato di avere un progetto politico: Bonino fa partiti con nessuno e Renzi lo fa per sfasciarlo, ma io non voglio attribuire ad altri le responsabilità». L’ex ministro ha parlato di «dura sconfitta» causata da «una violentissima polarizzazione che prescinde da ogni altra considerazione». Una polarizzazione rappresentata, secondo Calenda, «dai risultati di Vannacci, Salis, della Francia e della Germania». Se si andrà avanti così, la profezia nefasta del leader di Azione, «rimarranno solo macerie».

Di certo è stato un terremoto per Azione come per gli Stati Uniti d’Europa, sui quali Renzi aveva messo la faccia candidandosi in prima persona e promettendo di lasciare il posto da senatore a Roma in caso di elezione, per trasferirsi a Strasburgo. «Niente, è andata male - il commento a caldo dell’ex inquilino di palazzo Chigi - La politica è una grande scuola di vita anche quando non si vince e sono molto convinto che fosse giusto fare questa proposta, in questo momento: al mondo impazzito di oggi servono gli Stati Uniti d’Europa ed è stato bello affermare le ragioni di un sogno controcorrente».

Sarà anche stato bello, ma di certo non è bastato. «Abbiamo lottato, abbiamo espresso idee nelle quali crediamo, ci siamo messi in gioco - ha aggiunto Renzi Non abbiamo fatto il quorum, che peccato: ma non smetteremo oggi di lottare per questa idea di Europa, l’unica nella quale l’Italia può giocare un ruolo da protagonista e troveremo i modi per insistere sulla battaglia culturale e valoriale per un’Europa diversa».

E nonostante il suicidio collettivo, non manca l’attacco a Calenda. «Sul risultato italiano pesa l’assurda rottura del Terzo Polo: potevamo avere sette parlamentari europei riformisti, insieme, e invece sono zero. Che follia - ha concluso il leader di Iv - Ma i cittadini hanno scelto e i cittadini hanno sempre ragione: auguro agli eletti di onorare l’impegno a Strasburgo facendo loro i complimenti più sinceri». E intanto Tajani gongola…