Antonio Tajani merita un sussulto di solidarietà. Ha compiuto un'impresa che quasi tutti ritenevano impossibile: garantire la sopravvivenza di FI alla scomparsa dell'uomo che non ne era solo il fondatore e il capo ma anche l'anima, l'immagine pubblica, persino il programma ambulante. Invece di riconoscimenti incassa invece una sorta di ' mozione di sfiducia' da parte dell'erede del sovrano, che incidentalmente detiene anche una sorta di potere assoluto sul partito che senza il sostegno economico della cui famiglia regale annasperebbe o annegherebbe.

La ' colpa' di Tajani si declina in percentuali elettorali e da questo punto di vista Marina e Pier Silvio Berlusconi la pensano davvero allo stesso modo. Il partito azzurro dovrebbe fluttuare intorno al 20%. L' 8- 9% sul quale si è attestato Tajani non basta. Bisognerebbe prima di tutto chiedersi per cosa quella percentuale che attesta la sopravvivenza ma solo quella non sia sufficiente. Quando di mezzo c'è qualche Berlusconi, che si tratti del padre- padrone scomparso o dei pargoli, ragionare solo in termini politici è sbagliato. Marina e Piersilvio, probabilmente, credono davvero nell'utilità o nella necessità di «un partito liberale e moderato, ancorato nel centro destra, ma con spinta progressista», come la ha messa nel già famigerato incontro con la stampa l'ad di Mediaset. Ma se fibrillano di fronte alle percentuali esigue non è di certo solo per gli indirizzi del centrodestra o del Paese.

Dall'interno dell'azienda sussurrano che la strategia degli eredi guardi alla Germania e che pertanto gli stessi mirino a condizionare la politica del governo nel senso più utile alla loro impresa: dunque rafforzando di molto la delegazione del Ppe, cioè la loro Forza Italia, a spese della destra radicale di Salvini e, a livello europeo, dei Patrioti e della AfD tedesca, nemica giurata della Cdu. Dicono anche che, fosse per loro, i figli del gran capo non disdegnerebbero neppure una 'Grande Coalizione' che tagliasse fuori le ali, la Lega a destra e il M5S a sinistra. Forse è vero e forse no ma di certo l'obiettivo è condizionare il governo, quello di oggi e quello di domani quale che esso sia, molto più di quanto non riesca a fare oggi Tajani. O almeno di quanto non riescano a fare Tajani e il suo stato maggiore. Perché se non è certo che i ' colpetti' di Piersilvio siano il preludio a un benservito per il leader azzurro è invece sicuro che mirano a esserlo per il cerchio magico che lo circonda.

I principini chiedono da un pezzo al vicepremier di ' rinnovare' il partito, cioè di sostituire i suoi uomini di fiducia: i capigruppo Gasparri e Barelli e, a Strasburgo, Martusciello, il portavoce Nevi, il responsabile dell'organizzazione Battistoni. Tajani ha sempre promesso facendo poi finta di non aver sentito. Stavolta i Berlusconi vogliono che, dopo l'estate, il leader proceda davvero e con decisione.

Sulla sua sorte le cose stanno diversamente: sostituire Tajani non è affatto facile. Un'alternativa sotto mano non c'è. Lui, come al suo solito, non si è impuntato, anzi si sarebbe detto pronto a cedere se del caso il posto. Certo chiedendo nella disgraziata eventualità una buona uscita: l'impegno a sostenerlo come prossimo presidente della Repubblica. Ma al di là degli eventuali mercanteggiamenti, il nodo di fondo resta la difficoltà nel sostituire un leader che comunque, colpetti o non colpetti, ha dimostrato di avere l'esperienza e l'astuzia necessarie per mantenere in vita un partito che tutti davano per agonizzante.

In tempi non troppo lunghi il solo nome spendibile sarebbe proprio quello di Piersilvio Berlusconi e lui non ha esitato, pur senza sbilanciarsi troppo, a far balenare l'ipotesi. Eventualità reale o solo strumento di pressione? Il delfino ci pensa davvero o fa solo scena? Dall'interno del partito assicurano l'eventualità è remotissima. Lui stesso, del resto, è stato prodigo di elogi, complimenti e sostegni per Giorgia come nessun Berlusconi era mai stato in passato. Non si è limitato alle parole: ha fucilato lo Ius Scholae facendo fare a Tajani la peggior figura della sua vita politica eliminando così quello che per Meloni sarebbe potuto diventare un grosso problema. Ma una sua discesa in campo guasterebbe i rapporti e per l'azienda non sarebbe un bene.

La stessa Marina sarebbe del resto contraria al passo azzardato: non è che i due siano proprio in perfetta sintonia e nel suo show di due giorni fa il maschietto si è palesato molto più sbilanciato a destra della sorella. Ma la tentazione è palese e le circostanze potrebbero dare la spinta decisiva. In fondo al momento delle prossime elezioni, come non è sfuggito a nessuno, il giovanotto avrà proprio la stessa età che aveva il padre quando scelse di cambiare mestiere e diventare leader politico.