Dai rumors alle parole in chiaro. La famiglia Berlusconi ha detto la sua sulla leadership di Antonio Tajani in Forza Italia, e la lettura che ne ha fatto Piersilvio, a margine della presentazione dei palinsesti per la prossima stagione, non si può dire positiva, al netto delle parole di circostanza.

Con l’informalità lucida che gli è propria, Berlusconi jr ha lanciato un messaggio tanto diretto quanto politico: Antonio Tajani può andare bene, ma Forza Italia ha bisogno di «presenze nuove, idee nuove, lavoro nuovo». Un endorsement a metà, che suona come una sfiducia mascherata, o forse nemmeno troppo. Un modo per dare voce a quei malumori familiari – noti ma finora inespressi – sulla gestione “grigia” del partito azzurro, e su certe scelte che non convincono, dallo ius scholae in giù.

«Se non ci fosse Tajani bisognerebbe inventarlo – ha premesso il primogenito del Cavaliere – ma questo non significa che non si possa fare meglio». Una stoccata in piena regola, ammorbidita dall’affondo sulle leadership che mancano, e dalla richiesta di «una nuova spinta» per il partito fondato da Silvio Berlusconi. Tajani ha provato a incassare con diplomazia, smentendo qualsiasi attrito e rilanciando sul terreno dell’apertura: «Stimoli giusti che condivido – ha detto – Forza Italia spalanca le porte ogni giorno, la classe dirigente cresce». Un tentativo di minimizzare, mentre a Roma si moltiplicavano le letture dietro le righe dell’uscita di Pier Silvio. Che a ben guardare è tutt’altro che estemporanea.

A pesare è anche la distanza emersa su uno dei temi più sensibili per l’elettorato moderato: lo ius scholae, rilanciato da Forza Italia con la formula “ius Italiae”. Pier Silvio ha preso le distanze: «Il principio lo condivido, ma non è una priorità. Tempi e modi mi vedono scettico». Ha aggiunto di non aver parlato della questione con Tajani, e anzi ha voluto sgomberare il campo da ogni sospetto: «È falso che Tajani porti avanti lo ius scholae seguendo mie indicazioni o quelle di Marina». Per poi rincarare: «Se metto sulla bilancia, sono più contro che a favore». Parole che hanno costretto il segretario azzurro a rincorrere la linea: «La penso esattamente come lui, non è mai stata una priorità», ha detto Tajani, cercando di disinnescare l’ennesima accusa di ambiguità. Ma il danno era fatto.

E il leader leghista Salvini ci ha messo il carico, “gongolando” dal Giappone, decretando la «fine della partita» e rimandando il dibattito alla sinistra «fra trent’anni». Chi faceva congetture rispetto a una frattura tra casa Berlusconi e la premier Giorgia Meloni, invece, è rimasto deluso. Anzi, il numero uno di Mediaset ha approfittato del palcoscenico per sgombrare il campo da ogni dubbio: «Il governo Meloni è uno dei migliori in Europa. Donna, giovane, patriottica, venuta dal nulla: sta facendo gli interessi del Paese, anche nel rapporto con Trump». Un’investitura piena, quasi a voler chiudere un cerchio di convergenze che include anche la “riabilitazione” dell’ex-compagno della premier Andrea Giambruno, verosimilmente “perdonato” dopo le gaffe che ne avevano decretato l'allontanamento dal piccolo schermo: «È un bravo giornalista, presto tornerà in onda. Cosa ha fatto di male?», ha detto Berlusconi, lasciando intendere che ha pagato abbastanza.

Incalzato sull’ipotesi di una futura discesa in campo, Pier Silvio ha lasciato uno spiraglio aperto: «Oggi non ho intenzione, ma ho 56 anni, mio padre ne aveva 58... Perché no?». Tajani, nella parte dell'incudine, ha accolto l’idea con favore: «Magari. Se scende in campo, con il nome che porta, sarà solo positivo». Una benedizione più obbligata che convinta, vista la piega della giornata. La sensazione, però, è che dal quartier generale di Mediaset si volesse inviare il messaggio che la famiglia non ha alcuna intenzione di abdicare alla propria moral suasion sulla linea azzurra. E che anche quando i suoi membri dicono di non vuole fare politica, la fanno.