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LaPresse
Un successo per l’Italia, se non (o non ancora) in termini concreti, sicuramente a livello simbolico. La conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina, chge ha avuto inzio ieri a Roma, ha restituito un certo peso nell’iniziativa diplomatica a Palazzo Chigi.
Alla Nuvola dell’Eur, di fronte a oltre 3.500 partecipanti, la premier Giorgia Meloni ha colto l’occasione per ribadire il sostegno dell’Italia al popolo ucraino e rilanciare l’”unità dell’Occidente” come chiave per la pace.
Un passaggio, dunque, che ha rimesso in moto la macchina diplomatica europea e accreditato nuovamente Meloni come figura ponte tra Bruxelles e Washington. Anche grazie a un segnale politico chiaro che arriva da Strasburgo, dove gli eurodeputati di Fratelli d’Italia hanno scelto di non sostenere la mozione di censura contro la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, presente a Roma accanto alla premier.
Il risultato di maggiore rilievo è l’annuncio di un fondo europeo da dieci miliardi di euro per sostenere la ricostruzione del Paese aggredito. Ma la cifra è solo il simbolo di un’operazione più ampia: ricucire, rilanciare, ricostruire.
«Noi siamo quel popolo che ha costruito il miracolo economico italiano sulle macerie della Seconda guerra mondiale. Anche l’Ucraina può farcela», ha detto Meloni, evocando il passato per indicare una via d’uscita.
L’Italia farà la sua parte, non solo economicamente – con nuovi impegni annunciati dal ministro Giorgetti, tra cui 50 milioni per beni e servizi e 10 milioni per progetti agroalimentari – ma anche simbolicamente: sarà italiana una nuova ala dell’ospedale pediatrico di Odessa.
Accanto agli investimenti, la linea politica resta netta. «La Russia ha fallito – ha affermato Meloni – grazie alla tenacia degli ucraini e al nostro aiuto». Ma non basta: «Serve anche il sentimento, l’amore di patria. Senza questo, tutto perde senso». Un appello che punta dritto al cuore dell’Europa e al baricentro di un conflitto che continua a mietere vittime. L’invito è a non arretrare: né sul fronte del sostegno militare né su quello delle sanzioni.
Il messaggio è stato ripetuto anche nella call con la Coalizione dei Volenterosi, la piattaforma informale che riunisce i principali partner di Kiev. Collegati da Roma o da Londra, tra gli altri, il presidente francese Emmanuel Macron, il premier britannico Keir Starmer e l’inviato speciale degli Stati Uniti Keith Kellogg, emissario dell’amministrazione Trump. «Sono orgogliosa che abbia partecipato per la prima volta e che lo abbia fatto proprio da Roma», ha sottolineato Meloni, decisa a ritagliarsi un ruolo centrale anche nel difficile equilibrio tra la vecchia e la nuova Casa Bianca.
È qui che la premier cerca di posizionare l’Italia: come interlocutore credibile, al servizio della diplomazia ma senza ambiguità. «Non è solo Putin a dover essere fermato. Va tenuto conto di chi ha fatto tutto per impedire questa barbarie e di chi invece ha tratto profitto dalla guerra. Chi ha finanziato la macchina da guerra russa non potrà trarre vantaggio dalla ricostruzione», ha scandito, riecheggiando una linea già emersa al G7 Finanze e ribadita anche dal ministro Giorgetti.
Sul fronte militare, Meloni non arretra. «Sappiamo quanto è importante permettere all’Ucraina di difendersi, soprattutto contro gli attacchi brutali ai civili», ha detto, rivendicando l’assistenza alla difesa di Kiev come condizione necessaria per arrivare alla pace. Ma pace non vuol dire cedere. «Chiunque non è ingenuo sa che si arriva al cessate il fuoco solo con la deterrenza e la pressione su Mosca», ha avvertito durante la call, rivolta tanto all’opinione pubblica quanto ai leader occidentali.
L’unità dell’Occidente – «fondamentale», ha ripetuto – è l’unico argine contro il cinismo della guerra.
E, nella narrazione di Meloni, l’Italia c’è, a 360 gradi: non solo con fondi e progetti, ma con visione politica, radicata nella memoria del dopoguerra e proiettata in un futuro dove, come ha ricordato donando la riproduzione del “Pugile a riposo” ai partecipanti, anche chi ha combattuto può finalmente fermarsi. Quando la guerra sarà finita, «quel pugile sarà l’Ucraina. E noi la guarderemo con rispetto».