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ELLY SCHLEIN SEGRETARIA PD
C' è qualcosa, anzi c'è moltissimo di sconcertante nella reazione del Pd ai risultati del referendum. In casi come questo, sia chiaro, minimizzare la sconfitta, evidenziare gli elementi che permettono di non limitarsi al lutto, persino dissertare su calcoli cervellotici, come quando si contano le astensioni per affermare che chi vince le elezioni non è tuttavia legittimo rappresentante dell'elettorato, è la regola. Ma di qui a proclamarsi vincitori e cingere la corona d'alloro ce ne passa. E' la distanza fra la propaganda e la perdita del senso di realtà. Si può capire che in un simile spericolato esercizio si producano singoli parlamentari.
La loro voce non impegna il partito. Contribuisce a diffondere un'interpretazione consolatoria a uso della base ma evita di coprirsi di ridicolo. In questo caso a sfidare la logica, il buon senso, la realtà e persino l'aritmetica è stata la segretaria in persona, accompagnata da alcuni dei massimi dirigenti del suo partito e dall'eminenza grigia Bettini.
A spingere Elly, Boccia, Bettini e dirigenti vari in quella disastrosa direzione sono stati soprattutto calcoli interni. Elly i suoi alti protettori sanno perfettamente che, comunque lo si giri, i referendum sono una mazzata abbattutasi sulla strategia seguita dalla segretaria e che, di conseguenza, sono destinati a rinvigorire l'opposizione interna. Negando la realtà hanno semplicemente cercato di spuntare le armi del ' nemico interno', anche a costo di apparire fuori del mondo anche agli elettori più sprovveduti.
La destra temeva le urne. L'eventualità del quorum raggiunto non era neppure contemplata e dunque una vera vittoria del fronte referendario non è mai stata presa in considerazione. Ma erano plausibili esiti politicamente contundenti.
C'era per Giorgia e la sua destra, il rischio che i tre partiti del centrosinistra allargassero il loro elettorato rispetto al 2022, facendo leva su un tema di grande interesse materiale per larga parte della popolazione come il lavoro e su uno di assoluta presa sul piano dei valori come la cittadinanza. Quella minaccia è stata scansata anche in virtù dell'errore commesso dal fronte referendario con la trasformazione della prova in una sorta di referendum sul governo, che ha offuscato la sostanza dei quesiti, in particolare di quelli sul lavoro. Il numero dei sì non si scosta significativamente dalle cifre raggiunte nel 2022 dalla sinistra da un lato e dai 5S dall'altro.
C'era la possibilità concreta che le divisioni interne al centrosinistra, sia quelle nel Pd che quelle tra Pd e M5S, venissero superate d'impeto sull'onda di un successo politico, quale sarebbe stato garantito da un'affluenza massiccia pur se insufficiente.
Quel risultato non è stato raggiunto, non solo e non tanto perché l'affluenza è stata bassa e sino all'ultimissimo al Nazareno temevano di restare addirittura sotto la soglia del 30% ma soprattutto perché l'esito del referendum sulla cittadinanza è devastante e dimostra che su un tema chiave come l'immigrazione la distanza con l'elettorato 5S ancor più che con Conte resta abissale. Casomai, al contrario, le urne hanno parzialmente indebolito il risultato positivo, in termini di mobilitazione unitaria, della manifestazione su Gaza che era stata invece, dal punto di vista dei rapporti Pd- M5S un successo pieno.
La segretaria ha preferito far finta di non vedere. Ha cantato vittoria come se riuscire ad abrogare o no le leggi su cui era indetta la consultazione fosse un particolare ininfluente. Ha sorvolato sull'esito del referendum sulla cittadinanza, che è stato il vero e inatteso colpo da KO. Non si è interrogata neppure per un attimo sul senso di una sconfitta reale pur se in sé non disastrosa.
L'esito è un partito dal quale partono interpretazioni non diverse ma opposte, il peana di Elly e della maggioranza da un lato, il j'accuse di Picierno della minoranza che parla esplicitamente di regalo alla destra. Ma è anche una coalizione nella quale la segretaria del Pd plaude al grande passo avanti fatto dal suo Campo, stretto o largo che sia, e il leader dei 5S, molto più sobrio nei commenti a caldo, frena negando appunto quel passo avanti. E' inevitabile che nel Pd la contraddizione, latente da sempre, rovente dopo il voto sul riarmo nel Parlamento europeo, arrivi al suo momento della verità.
Probabilmente lo showdown ci sarà nell'Assemblea nazionale che dovrebbe tenersi entro la fine di giugno. Elly, nonostante esca indebolita dal voto dell' 8 e 9 giugno, non rischia nulla se si guarda alla tenuta della sua segretaria. Rischia moltissimo se invece si guarda all'immagine e alla credibilità del partito e della coalizione con i quali dovrebbe tra due anni battere la destra oggi vincente di Giorgia Meloni.