“Amazzone di De Mita”, “bocca che puzza di tirannia” “sionista guerrafondaia”. Una cosa è certa: al netto dei suoi meriti, Pina Picierno ha sempre avuto un grande talento nel mettersi al centro delle polemiche (quando va bene) o essere bersaglio dei leoni da tastiera.

Da quando, una decina di anni fa, l'europarlamentare dem si è affacciata sulla ribalta della politica prima nazionale e poi europea, le sue prese di posizione hanno sempre suscitato reazioni infuocate e non di rado hanno dato vita a casi politici. Un altro elemento costante nella carriera di Picierno, purtroppo, è l'essere il terminale di attacchi spesso fuori dalle righe o entrare nel mirino dell'hater di turno.

Ma negli ultimi tempi, accanto ad episodi spiacevoli e poco edificanti che l'hanno vista come vittima, Pina Picierno ha dato grande sostanza politica ai propri interventi, facendolo nel suo stile energico e sanguigno, tanto da emergere con un appellativo che appare un ossimoro, e cioè quello di “pasionaria riformista” del Pd.

Nei giorni che hanno preceduto e nelle ore immediatamente successive alla celebrazione dell'ultima tornata referendaria, Picierno si è fatta progressivamente alfiere delle istanze della componente del Pd più legata alla stagione renziana, che non ha digerito – per usare un eufemismo – l'abiura concessa dall'attuale segretaria Elly Schlein al leader della Cgil Maurizio Landini sul jobs act e in generale sulle norme relative al lavoro. E mentre altri che provengono dalla sua stessa componente adottavano un atteggiamento più prudente e diplomatico, lei abbandonava ogni cautela e additava senza remore quelli che a suo avviso sono gli errori strategici che la numero uno del Nazareno sta compiendo anche nel pieno della campagna referendaria.

Ciò non ha mancato di creare delle frizioni latenti con gli stessi riformisti e col loro punto di riferimento Stefano Bonaccini, ma una volta chiuse le urne le ha dato una condizione di vantaggio nel panorama di quanti chiederanno conto a Schlein – a partire dalla prossima Direzione – di ciò che ha intenzione di fare rispetto a linea politica e orizzonte delle alleanze. «Una sconfitta profonda, seria, evitabile», ha commentato sui social, aggiungendo che si è trattato «di un regalo enorme a Giorgia Meloni e alle destre». «Fuori dalla nostra bolla – ha aggiunto - c'è un Paese che vuole futuro e non rese di conti sul passato. Ora maturità, serietà e ascolto, evitando acrobazie assolutorie sui numeri».

Un riferimento, nemmeno tanto velato, all'analisi post-sconfitta data in pasto ai media da Schlein e dal suo fedelissimo Francesco Boccia, volta a mettere in concorrenza il numero dei votanti a favore dei quesiti con quello degli elettori di FdI. «Mi pare evidente», ha chiosato inviando un chiaro messaggio ai piani alti del Nazareno, «che l'alternativa di governo non si costruisce agitando feticci del passato. C'è un nuovo mondo là fuori che ci chiede soluzioni coraggiose alle sfide di oggi, guardiamo avanti. Il successo della destra in Italia è profondo, non è una meteora. Pensare a scorciatoie o fantasticare su spallate prossime non servirà. Le spalle conserviamole per un'alternativa credibile, perché dovranno essere molto larghe per competere e convincere la maggioranza degli italiani». Un modo energico e diretto di esprimere il proprio punto di vista che, come si diceva, ha proiettato Picierno più di una volta al centro della ribalta, anche subendo attacchi offensivi.

Se infatti le critiche alla leadership del Pd, rispetto al referendum, ruotano attorno a scelte di politica interna come quella di inseguire il progetto del Campo Largo assieme al presidente del M5s Giuseppe Conte, anche in politica estera, negli ultimi tempi, Picierno non è stata morbida: all'interno della delegazione dem, è stata una degli esponenti più determinati a chiedere al gruppo di dirigente di seguire l'orientamento del Pse, sia sugli aiuti a Kiev che sul riarmo Ue, laddove anche in questo caso Schlein ha preferito la strada del compromesso astenendosi per non rompere con pentastellati e Avs.

Ma la forza della “pasionaria riformista” nel sostenere la difesa comune europea e le armi all'Ucraina non è passata inosservata nemmeno a Mosca, dandole un'improvvisa notorietà internazionale quando il propagandista putiniano Vladimir Soloviev l'ha insultata bollandola come “idiota patentata” e “miserabile bestia pietosa” perché quest'ultima si era opposta alla sua presenza in una trasmissione tv alla Rai.

Ma l'attrazione degli hater per Picierno è cosa non di oggi: la prima grande bufera mediatica che la vide protagonista fu quando difese in tv a spada tratta il bonus di 80 euro introdotto dal governo Renzi, circa dieci anni fa. Contro chi, da destra (ma anche da sinistra) accusava l'allora premier di aver concesso una “mancetta elettorale” agli italiani, Picierno si presentò davanti alle telecamere con una busta della spesa piena e declamò tutte le voci dello scontrino, per dimostrare che si trattava di un sostegno non banale alle famiglie. Apriti cielo, con una coda di critiche legittime e un'altra di aggressioni sui social.

Come quando, al culmine di un infuocato confronto televisivo con l'allora leader della Cgil Susanna Camusso (su argomenti tra l'altro tornati d'attualità coi refendum) affermò d'emblée che quest'ultima era stata eletta con tessere false e che riempiva le piazza “rastrellando” i pensionati e pagandogli i pullman. E così, non mancò – e a occhio croce potrebbe succedere di nuovo – la propria formazione politica nel segno dell'ammirazione per un'icona della Prima Repubblica Ciriaco De Mita (a cui consacrò addirittura la tesi di laurea) e il fatto di essere rampolla di una famiglia di politici campani anch'essi di obbedienza rigorosamente demitiana: il padre Pasquale era segretario della DC si Santa Maria Capua Vetere (la sua città) e lo zio Raffaele sindaco di Teano. E' verosimile che da entrambi, Picierno, abbia appreso l'arte di passare indenne attraverso ogni temperie politica.