Prima le sottolineature sull’Ucraina, con l’Italia «che rimane salda dalla parte degli aggrediti» inviando armi, proponendo soluzioni per una tregua ma senza inviare soldati sul terreno. Poi gli attacchi alla magistratura, sia sul caso dell’ «autonomi nato imam» di Torino e poi sui centro in Albania, che «funzioneranno».

L’intervento della presidente del Consiglio ieri in Aula pre Consiglio europeo di oggi e domani a Bruxelles è servito soprattutto a tenere a bada i distinguo in maggioranza su quella che la stessa Meloni ha definito «guerra d’in vasione russa all’Ucraina», mettendo in guardia dai rischi collegati all’utilizzo degli asset russi congelati in diversi Paesi europei ma stando attenta a non discostarsi troppo dalla linea che il governo tiene dall’inizio della guerra, cioè dalla parte di Kyiv senza se e senza ma, che poi è anche la linea del Quirinale, come ribadito più volte di recente dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

E guarda caso proprio mentre in Aula si discute di armi e sostegno all’Ucraina il presidente russo Vladimir Putin definisce i leader europei «maialini» che «si sono subito uniti all’amministrazione Biden nella speranza di trarre profitto dal crollo del nostro Paese», spiegando che «la ripresa del dialogo con le potenze europee è possibile con un cambio delle attuali élite politiche in Europa e il rafforzamento della Russia». Vaneggiamenti che rispediti al mittente da meloni ma non da altri, a giudicare dalle dichiarazioni di importanti esponenti sia della maggioranza che delle opposizioni, e a leggere alcune parti delle risoluzioni presentate ieri in Aula.

«Oltre la cortina fumogena della propaganda russa, la realtà sul campo è che Mosca si è impantanata in una durissima guerra di posizione, tanto che, dalla fine del 2022 ad oggi, è riuscita a conquistare appena l’ 1,45% del territorio ucraino, peraltro a costo di enormi sacrifici in termini di uomini e mezzi - spiega Meloni - questa difficoltà l’unica cosa che può costringere Mosca a un accordo, ed è una difficoltà che, lo voglio ricordare, è stata garantita dal coraggio degli ucraini e dal sostegno occidentale alla nazione aggredita».

Accanto a lei il suo vice Matteo Salvini, che ascolta in silenzio ma non rinuncia a qualche cenno di perplessità. Ma per la serie un colpo al cerchio e un colpo alla botte, è sul congelamento e l’uso degli asset russi che la presidente del Consiglio usa la carota con l’allea to leghista.

«Abbiamo il dovere cercare la soluzione più efficace per preservare l’equilibrio tra la fornitura di un’assistenza concreta all’Ucraina da un lato, e il rispetto dei principi di legalità, sostenibilità e stabilità finanziaria, e monetaria, dall’altro - osserva Meloni - Ma si tratta decisioni complesse, che non possono essere forzate».

Dopo la standing ovation unanime per il ricordo delle vittime dell’attentato antisemita a Sydney, in Aula non sono mancati i momenti di tensione, specialmente durante il doppio attacco dell’inquilina di palazzo Chigi alla magistratura.

«Alla politica e alle istituzioni, spetterebbe anche il compito di preservare la Repubblica dai rischi per la propria sicurezza, inclusi quelli derivanti dalle predicazioni violente di autoproclamati imam che, come nel caso di Shahim, fanno addirittura apologia del pogrom del 7 ottobre - sottolinea Meloni - Un impegno che dovrebbe valere per tutte le istituzioni, magistratura compresa».

E qui partono i primi mugugni dai banchi delle opposizioni, che ru-moreggiano al momento del secondo attacco, quando il presidente della Camera Lorenzo Fontana è costretto a richiamare all’ordine. Motivo del caos le parole di Meloni sui centri per i migranti in Albania. «Il modello Albania, a cui molti altri Paesi europei guardano con grande interesse, funzionerà e ci aiuterà a ridurre ulteriormente i flussi irregolari ed esercitare la deterrenza necessaria al contrasto del traffico di esseri umani - tuona la presidente del Consiglio - Piaccia o no alla sinistra, di ogni ordine e grado».

Come spesso accade è poi nella discussione generale e nelle repliche che il dibattito si accende, con la segretaria del Pd Elly Schlein che chiede a Meloni se Salvini sia il vicepremier o il portavoce di Mosca e il presidente M5S Giuseppe Conte che mette in guardia dal via libera all’uso degli asset russi. «Non vi riuscite a chiarire se siete alleati oppure no uno dice sì e l’altro risponde non è vero: mi rendo conto che sulla politica estera sia ancora più complesso», ha detto rispondendo alle accuse dell’opposizione e ricordando come le forze che non sostengono l’esecutivo abbiano presentato sei risoluzioni.

Le quali andavano dal no alle armi a Kyiv e no all’uso degli asset russi, come quella M5S, al sì a entrambi gli aspetti, come quella del Pd. Un’ambiguità che la maggioranza risolve nel proprio testo che «permane il sostegno multidimensionale allo Stato aggredito». Qualsiasi cosa questo voglia dire.