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LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI
Se non fosse stato per la verve che Matteo Renzi è solito portare in aula nel corso dei suoi interventi, il premier time della presidente Giorgia Meloni a Palazzo Madama, che si è tenuto ieri all'ora di pranzo, si sarebbe trascinato verso la sua conclusione praticamente privo di sussulti, offrendo uno spettacolo non troppo dissimile da quello ripetitivo e francamente noioso degli ordinari question time.
Un appuntamento al quale Meloni mancava da 469 giorni, elemento che tutti gli esponenti dell'opposizione intervenuti nel corso della seduta non hanno mancato di sottolineare polemicamente. Alla vigilia, qualcuno si aspettava una sorta di “agguato” da parte dei senatori del centrosinistra su uno dei temi più scottanti del momento, e cioè il piano del premier israeliano Benjamin Netanyahu per l'occupazione totale della Striscia di Gaza, che non era tra quelli contenuti nelle interrogazioni in programma, ma l'imprevisto non si è verificato, se si eccettua un passaggio in questo senso del “rossoverde” Giuseppe De Cristofaro nel contesto di una domanda più generale sulla collocazione internazionale del nostro paese.
L'ex premier e leader di Italia Viva, dunque, è stato abile a impossessarsi della scena, personalizzando lo scontro con Meloni, che da par suo ha raccolto il guanto di sfida. Non è la prima volta che i due si beccano nell'emiciclo di Palazzo Madama, ma stavolta l’attacco di Renzi è stato più frizzante: «Lei cambia idea su tutto», ha detto, «dall’euro alla Nato, da Putin alle trivelle. È campionessa mondiale di incoerenza». Un colpo affilato, che Meloni incassa con apparente distacco, salvo poi rispondere con sarcasmo: «Mi ha chiesto se mi dimetterei in caso di bocciatura del referendum? Non farò mai nulla che abbia già fatto lei...».
Applausi scroscianti dalle fila del centrodestra, qualche brusio dal fronte opposto, ma niente di trascendentale. Renzi ha incalzato Meloni su più di un fronte, a partire da quello delle riforme, non lesinando una frecciata su una vicenda giudiziaria su cui aveva investito molto in termini di propaganda, quando era all'opposizione: «Lei», ha detto, «ha promesso una riforma della giustizia garantista. Detto da voi, fa quasi ridere. Se vogliamo credervi, fate una cosa: prima di approvare in via definitiva la riforma garantista sulla giustizia perché non fate quello che avete detto, cioè andate a Bibbiano. La stanno ancora aspettando per chiedere scusa a quella comunità per il vostro giustizialismo.
In generale, sulle riforme, Meloni ha ribadito che «il premierato sta andando avanti» e che «dipende dal Parlamento, ma sicuramente la maggioranza è intenzionata a procedere spedita su questa riforma, esattamente come è intenzionata a procedere spedita sulla riforma della giustizia». Una presa di posizione, dalla premier, è arrivata su un aspetto della possibile nuova legge elettorale, laddove ha affermato di essere favorevole al ritorno delle preferenze.
Molte sono state le interrogazioni ( sia in chiave favorevole che contraria all'esecutivo) dedicate alla politica estera e ai rapporti con gli Usa dopo il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump. Replicando al leader di Azione Carlo Calenda, Meloni chiarisce che l’Italia raggiungerà il target del 2% di spesa militare sul Pil nel 2025. «La libertà ha un prezzo – ammonisce – e se fai pagare la tua sicurezza a qualcun altro, non sei più padrone del tuo destino». Parole che fanno eco alla linea atlantista più ortodossa, ma che alimentano il sospetto, sollevato da Avs, di una subalternità agli Stati Uniti. «Non è un favore a Trump», ribatte Meloni. «È un interesse nazionale».
Sul fronte interno, l'inquilina di Palazzo Chigi enumera quelli che a suo avviso sono stati finora i successi del governo su occupazione coesione sociale. Il Pd ha attaccato sul fronte del caro- bollette e soprattutto della Sanità e Meloni ha replicato a tutto campo: «Con i repubblicani in America volete il gas dalla Russia? Noi lavoriamo al disaccoppiamento del prezzo del gas». Sul tema sanità, si è appellata alle Regioni per ridurre le liste d’attesa, spostando il baricentro della responsabilità. Sulla riforma del reato di femminicidio, ha promesso aperture: «Il Parlamento potrà migliorare il testo, quella è la sede per allargare il perimetro del reato».
Si diceva Gaza: in maniera molto prudente, rispondendo all'interrogazione della senatrice Biancofiore, la premier ha chiarito di sostenere il piano dei Paesi arabi per una soluzione politica, ma il passaggio è stato marginale. Sugli scudi, prevedibilmente, i leader dei due principali partiti d'opposizione, che dopo la fine del premier question time hanno usato toni severi: «Con che faccia Giorgia Meloni», ha scritto in una nota la segretaria del Pd Elly Schlein, «torna in Parlamento per continuare a mentire agli italiani, peraltro proprio sulla sanità, sul diritto alla salute delle cittadine e dei cittadini?». Per il leader del M5s Giuseppe Conte (presente in tribuna al Senato per seguire la seduta) Meloni è «irriconoscibile, scollata dalla realtà».
«Di fronte ai dati drammatici dell'Istat di oggi» ha aggiunto, «risponde con i dati dello spread, con le valutazioni delle agenzie di rating. Sta fuori di testa». Decisamente più duro e tranchant il commento del segretario della Cgil Maurizio Landini: «La gente non è cogliona, paga sulla propria pelle l'assenza di politiche industriali».