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L'aula del processo Angeli e Demoni piena di gente durante l'udienza di questa mattina
«Siamo oltre il “thoughtcrime” orwelliano: non è solo incriminare il mio pensiero, ma incriminarmi per un pensiero che lascio fare ad altri con quello che dico. È una follia».
Così si è espressa in aula, venerdì scorso, la difesa di Federica Alfieri, psicologa Asl imputata nel processo sui presunti affidi illeciti “Angeli e demoni”, rappresentata dagli avvocati Mario Bonati e Federico Donelli.
L’arringa ha ricalcato quanto già evidenziato in udienza preliminare, sottolineando l’assoluta inconsistenza dei capi d’imputazione. Alfieri è a processo per due capi di imputazione relativi a vicende molto diverse tra loro e distanti nel tempo.
Una è relativa a una relazione del luglio 2015, in merito a V. S., la paziente di Claudio Foti (assolto in via definitiva in abbreviato), rispetto alla quale la stessa pm Valentina Salvi ha chiesto l’assoluzione di Alfieri, in quanto la professionista si era occupata unicamente della vicenda relativa alla madre della ragazza. Nessuna contestazione di falso sulla parte della relazione che tratta quell'argomento. Alfieri aveva comunque sottoscritto tutta la relazione, assumendosi formalmente la “maternità” del documento. I punti contestati riguardavano i racconti delle due figlie, su cui Alfieri non poteva valutare l’eventuale falsità, non avendole mai conosciute.
Sul punto, dunque, la difesa si è allineata al pubblico ministero, contestando però l’impostazione originaria dell’accusa, secondo cui il coinvolgimento delle psicologhe derivava da un loro asservimento al Servizio sociale.
«Se si è asserviti – ha contestato Donelli in aula – non si capisce perché si dovrebbe essere “usati” per fare dei falsi solo in due vicende, distanti anni tra loro. Se Alfieri, che ovviamente ha seguito anche altri casi oltre quelli contestati, fosse stata asservita, allora avrebbe avuto modo di fare dei falsi anche in quegli altri, cosa che invece non ha mai fatto».
L’altro caso è quello di A. O., allontanato dalla famiglia su decisione del Tribunale dei Minori, nonostante nella relazione firmata da Alfieri e dalla collega Annalisa Scalabrini – anche lei imputata – non si proponesse tale soluzione. Il bambino, a scuola, aveva disegnato il padre intento a picchiare la madre e lo aveva raccontato alle insegnanti. «Questo è il papà che si arrabbia con la mamma e le ha dato un pugno negli occhi», aveva spiegato il piccolo alle maestre.
La pm, nella sua requisitoria e nella memoria scritta, non ha affrontato tutte le circostanze contestate, in particolare l’ultima, che era forse l'unica vera circostanza puramente fattuale contenuta nella relazione, poiché riguardava direttamente i racconti dei genitori, in particolare del padre del bambino. Le altre circostanze erano quasi tutte di natura meramente valutativa.
«Se si va ad analizzare il tema dei riferiti dei genitori – ha sottolineato Donelli – allora si rintracciano anche tutti i fattori di protezione indicati nella relazione. Come il fatto che la moglie diceva di essere molto innamorata del marito, descritto come un uomo affettuoso, bravo con la gente».
Ma c’è di più: nel procedimento aperto contro il padre, la stessa pm ha utilizzato parte della relazione di Scalabrini e Alfieri, all'epoca, per archiviare il fascicolo.
«Il che è una contraddizione – ha sottolineato Donelli – se per archiviare utilizzi parte della relazione che mi dici essere falsa e finalizzata a mettere nei guai quella persona, allora vuol dire che, leggendola attentamente, emergevano non solo i profili di criticità – alcuni dei quali portavano nella direzione della violenza assistita, dell’abuso di alcol e dell'aggressività del padre – ma anche fattori di protezione. Come il fatto che fra i genitori le cose andavano bene, che erano innamorati, e il rapporto col nonno, che poteva essere una figura da coinvolgere in un progetto di recupero familiare.
E, soprattutto, nella relazione si chiedeva l'affido del bambino al servizio, ma non l’allontanamento dai genitori».
Nella relazione, in sostanza, veniva chiesto del tempo per approfondire la situazione, fermo restando che i servizi sociali non hanno accesso ai database giudiziari. Ciononostante, i precedenti del padre erano reali: la patente gli è stata ritirata due volte e lui stesso, quando si è rivolto al Sert, ha ammesso di essere stato ricoverato in stato di ebbrezza. E l’abuso di alcol è stato confermato dallo stesso padre al Tribunale dei Minori. Insomma, nulla di inventato.
I genitori, però, in aula hanno negato tutto. Secondo la difesa, si tratta di genitori inattendibili, come dimostrato da una lista di circostanze in cui la madre veniva smentita dalle maestre, testimoni assolutamente disinteressate.
«L'attendibilità di un teste – ha dunque sottolineato la difesa – cambia se è costituito parte civile».
Il padre, dunque, sarebbe inattendibile, come già affermato dalla pm, e lo sarebbe anche la madre, che ha dato ragione al marito su tutta la linea, negando anche le cose più banali.
«La pm – ha dichiarato Donelli – si è voluta sottrarre al confronto con il dichiarato del padre di fronte al Tribunale dei Minori, che è stato sentito due volte e ha ammesso tutte queste circostanze: i litigi con la moglie davanti al bambino, l’abuso di alcol.
Per altro verso, ha dovuto anche abbandonare l'idea delle psicologhe asservite perché, ad esempio, è emerso in dibattimento – con la testimonianza dei due superiori della Alfieri – che già nel 2018, prima ancora della visita a casa di A.O., Alfieri aveva chiesto di essere esonerata dal servizio per alcune tensioni legate a divergenze di opinione».
Ma non solo: il pubblico ministero contesta la falsità della relazione utilizzando parole che non provengono dalla relazione stessa, bensì dal decreto di allontanamento del bambino. Da qui il riferimento a Orwell.