Certo, è proprio come l’uovo di Colombo, basta schiacciarlo sul fondo e sta in piedi, la questione sovraffollamento delle carceri. Sarebbe sufficiente arrestare di meno. Non è utopia da vecchi liberali nostalgici, sono dati di fatto, e basta qualche piccola riforma. Prendiamo l’inchiesta giudiziaria che ha destato maggiore scalpore nelle ultime settimane, quella sull’urbanistica milanese.

La Procura guidata da Marcello Viola aveva richiesto sei misure cautelari, quattro delle quali con detenzione in carcere e due ai domiciliari. La nuova legge di recente applicazione, votata dal Parlamento e fortemente voluta dal ministro Carlo Nordio, quella che impone l’interrogatorio preventivo da parte del gip, non ha prodotto la conseguenza paventata da Marco Travaglio, cioè che gli indagati si dessero alla fuga. Al contrario, sia i costruttori Andrea Bezziccheri e Manfredi Catella, così come l’ex assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi, gli ex componenti della commissione Paesaggio Giuseppe Marinoni e Alessandro Scandurra insieme al manager Federico Pella, tutti quanti presenti, si sono sottoposti all’interrogatorio e poi hanno atteso il loro destino.

Nessuno si è dileguato. Ma forse Travaglio, quando definiva quella di Nordio la “buffa riforma” che avrebbe fatto scappare i ladri, aveva in mente più i piccoli rom del quartiere Gratosoglio, che non la classe dirigente dell’urbanistica milanese. Così, dopo gli interrogatori degli indagati, quando il 31 luglio scorso è arrivata la decisione del giudice Mattia Fiorentini, che pure ha sposato quasi interamente la tesi dell’accusa, uno solo dei sei indagati, Bezzicheri, è finito a San Vittore: per gli altri cinque la misura cautelare è stata applicata al domicilio di ciascuno di loro. Il che significa, se vogliamo tradurla in numeri, che dei quattro destinati alla prigione secondo la Procura, tre sono rimasti a casa, non contribuendo in questo modo ad affollare le celle di San Vittore.

Dodici giorni dopo, nel carcere milanese si è liberato un altro posto, con la decisione del Tribunale del Riesame di accogliere la richiesta di revoca della custodia cautelare del costruttore Bezziccheri. Tutto ciò sarebbe accaduto anche senza la riforma? Si potrebbe chiederlo al gip, ma sicuramente gli interrogatori preventivi, che hanno dato agli imputati la possibilità di spiegare da uomini liberi le proprie ragioni, se pur a quanto pare non hanno convinto il giudice della loro innocenza, sono serviti a ridimensionare le esigenze cautelari. Questo quadro è interessante anche sul piano delle percentuali, anche se parliamo di piccoli numeri, dal momento che il 75% delle richieste di custodia in carcere avanzato dalla Procura è andato disatteso.

Ma a questo quadro confortante già oggi, dovremmo aggiungerne un altro di prospettiva. Perché tra un anno dovrebbe entrare in vigore un’altra riforma, che imporrà nuove garanzie per l’indagato. Il provvedimento che disporrà la decisione di sottoporre alla custodia cautelare in carcere l’indagato dovrà essere adottato da un collegio di tre giudici e non più da un organo monocratico. Non sarà il sol dell’avvenir, quello che splenderà quel giorno, ma il salto di qualità sarà evidente. E lo dimostrano le tante revisioni, non ultima quella di cui stiamo parlando, operate da organi collegiali rispetto alle richieste delle Procure.

Inutile nasconderci rispetto alla fatica di dover continuamente, e ogni anno in modo particolare d’estate quando si moltiplicano i suicidi, sventolare i numeri della folla carceraria a quelli del “buttiamo la chiave”. Bisognerebbe rispondere che sarebbe meglio buttar giù i muri delle prigioni, invece. Ma cominciare dal carcere preventivo, che possiamo chiamare quanto il codice vuole come “custodia cautelare”, ma sempre carcere preventivo è. Perché significa essere un prigioniero senza processo. Prigioniero prima di tutto del pregiudizio di chi pensa che lo Stato debba poter disporre del corpo e della mente di chiunque, prima ancora di averlo portato in un’aula di tribunale. Stiamo parlando di circa il 25% dei detenuti, in Italia, una percentuale tra le più alte d’Europa.

Ci sono Stati e culture che il problema paiono averlo risolto, e non perché in quei territori si commettano meno reati. Viene in mente la Svezia, dove non solo non si costruiscono più prigioni, ma negli anni scorsi alcune carceri sono state riconvertite in altre destinazioni sociali per mancanza di detenuti. O la vicina Norvegia, il Paese in cui l’ 80% delle pene non consiste nella privazione della libertà. Ma anche in Italia qualche anno fa, nei giorni dell’epidemia da covid, il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi aveva implorato “arrestate di meno”. Ed era accaduto, persino in presenza di un ministro guardasigilli come Alfonso Bonafede. Il che significa che si può fare. Con qualche piccola riforma, pur in attesa della separazione delle carriere, e un poco di illuminata buona volontà.