Con la sentenza numero 27815/ 2025, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo di interrogatorio preventivo dell’indagato non si applica quando, a seguito di appello del pubblico ministero contro il rigetto della misura cautelare, il Tribunale del Riesame decide di accoglierlo, purché il procedimento garantisca pienamente il diritto di difesa.

Il caso riguardava un uomo e una donna, accusati di avere introdotto in carcere quasi 300 grammi di cannabis. Il Tribunale di Napoli, in riforma del rigetto del gip, aveva disposto la custodia in carcere per l’uomo e l’obbligo di dimora per la donna.

La difesa lamentava la nullità dell’ordinanza per violazione dell’articolo 291, comma 1- quater, c. p. p., introdotto dalla legge 114/ 2024, che prevede l’interrogatorio preventivo nei casi di misura cautelare fondata sul pericolo di reiterazione ( articolo 274 lettera c), salvo specifiche eccezioni.

La Cassazione ha escluso la nullità, chiarendo che l’interrogatorio è obbligatorio solo prima di disporre la misura in prima istanza. Inoltre, se il gip rigetta la richiesta del pubblico ministero, l’obbligo non si attiva, mentre in caso di appello del pubblico ministero, il contraddittorio è già garantito dal procedimento dinanzi al tribunale del Riesame di competenza, dove l’indagato può comparire e chiedere di essere sentito. La Suprema Corte di Cassazione ha richiamato la giurisprudenza formatasi sulle misure interdittive, applicandola ora anche a quelle coercitive. Sul tema, gli ermellini evidenziano: «La questione» deve essere risolta negativamente, «in quanto la ratio della norma, che mira a garantire all'indagato un pieno contraddittorio anticipato, attraverso un subprocedimento che prevede il deposito degli atti e il diritto a prenderne visione, è soddisfatta anche nel giudizio di appello promosso dal pubblico ministero, trattandosi di procedimento in cui sono pienamente garantiti sia il contraddittorio sia il diritto di difesa dell'indagato. La stessa relazione illustrativa sopra richiamata ha chiarito che con l'articolo 291 comma 1- quater del codice di procedura penale introducendo l'interrogatorio preventivo, il legislatore ha inteso estendere alle misure cautelari coercitive la regola precedentemente prevista dall'art. 289, comma 2, del codice di procedura penale per le misure cautelari interdittive».

Ed ancora: «Si può, dunque, fare riferimento alla giurisprudenza formatasi in materia, secondo cui l'applicazione della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio in accoglimento dell'appello del pubblico ministero non deve essere preceduta dall'interrogatorio dell'indagato, in quanto il diritto al contraddittorio è assicurato dalla possibilità per il predetto di comparire all'udienza per la trattazione del gravame e di chiedere di essere interrogato».

La Cassazione ha respinto anche le censure sui gravi indizi di colpevolezza, rilevando che la quantità di droga era incompatibile con l’uso personale e verosimilmente destinata allo spaccio tra detenuti. Nello specifico, la sesta sezione penale scrive: «Il secondo motivo è infondato in quanto l'ordinanza impugnata fa rinvio al provvedimento del Giudice per le indagini preliminari che, pur avendo respinto l'istanza di applicazione di misura cautelare per difetto di esigenze cautelari, aveva ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza sulla base del fascicolo fotografico agli atti e, segnatamente, dei fotogrammi che riprendono il momento della cessione dello stupefacente. Il Tribunale ha, poi, con motivazione che non viene intaccata dalle generiche deduzioni difensive, rilevato che il quantitativo di stupefacente (295,07 grammi di cannabis) è assolutamente incompatibile con l'uso personale ed è «più probabilmente funzionale allo spaccio con altri detenuti della casa circondariale».

Quanto alle esigenze cautelari, per l’uomo è stato valorizzato il precedente per estorsione e il fatto che la condotta sia stata commessa durante la detenzione; per la donna, la “spregiudicatezza” nel trasporto di stupefacente in carcere, bilanciata dall’incensuratezza, ha giustificato l’obbligo di dimora. Infondato anche il motivo della mancata indicazione di misure alternative: il Tribunale ha motivato sull’inadeguatezza di soluzioni meno afflittive per prevenire contatti criminali.