La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità sollevate sulla disciplina della ricusazione del giudice nelle misure di prevenzione patrimoniali. Con la sentenza n. 182, depositata oggi, la Consulta ha respinto i dubbi avanzati dalla Corte di cassazione sull’articolo 37, comma 1, lettera a), del Codice di procedura penale, letto in combinato disposto con l’articolo 36, comma 1, lettera g).

Secondo i giudici rimettenti, l’assenza di una previsione che consenta alle parti di ricusare il giudice che abbia disposto la “restituzione degli atti” all’autorità proponente potrebbe violare gli articoli 24, 111 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 6 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’argomento centrale era che le valutazioni contenute nel provvedimento di restituzione potessero pregiudicare l’imparzialità del giudice chiamato poi a decidere sull’applicazione della misura patrimoniale.

La Corte costituzionale ha però escluso questo rischio, basando la propria decisione su tre passaggi fondamentali.

Innanzitutto, i giudici hanno ricordato che «in qualunque processo decisionale», trattandosi di «attività intellettuale dinamica e non statica», il convincimento del giudicante è «a formazione progressiva». Questo principio si applica anche al procedimento di prevenzione, che – sottolinea la Consulta – non è suddiviso in fasi autonome come il processo penale, ma mantiene una struttura monofasica. La restituzione degli atti non determina quindi una regressione, bensì costituisce una sottofase interna allo stesso procedimento.

In secondo luogo, la Corte ha richiamato l’articolo 111, secondo comma, della Costituzione, che delinea i caratteri del giusto processo e impone l’imparzialità del giudice anche nel contesto della prevenzione. I principi costituzionali, scrive la Consulta, sono pienamente idonei a garantire l’assenza di attività pregiudicanti, pur tenendo conto delle peculiarità della materia.

Infine, il punto più decisivo: la Corte ha stabilito che la restituzione degli atti all’autorità proponente non integra una “attività pregiudicante”. Il provvedimento, osservano i giudici, equivale in realtà a un rigetto allo stato per insufficienza degli elementi utili a procedere, e «non anticipa una successiva adozione del provvedimento di sequestro». Il Tribunale, in quella fase, non valuta la sussistenza dei presupposti della misura, ma la sola sufficienza degli atti, senza incidere sull’accertamento futuro.

Per questo la Consulta ha concluso che non sussiste alcuna violazione dei parametri costituzionali richiamati e che la norma censurata rimane pienamente compatibile con il principio di imparzialità del giudice.