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IMAGOECONOMICA
Mai il Pd è stato così scosso al proprio interno dal dibattito sulla giustizia. Mai, quanto meno, da 33 anni a questa parte, dai tempi di Mani pulite. Epicentro della lacerazione è “Libertà eguale”, la sigla che raccoglie l’anima più liberal dei riformisti dem e che già l’estate scorsa aveva chiarito la propria posizione favorevole alla separazione delle carriere.
A innescare lo showdown politico-culturale è la lettera aperta inviata ai vertici dell’associazione da due parlamentari che pure ne fanno parte, Walter Verini e Dario Parrini. Il primo è segretario della commissione Giustizia di Palazzo Madama e capogruppo dem in Antimafia. Il secondo, pure lui senatore, è vicepresidente della commissione Affari costituzionali. Nella missiva rivolta agli amici, e in particolare ai vertici di “Libertà eguale”, vale a dire il presidente Enrico Morando e il segretario Stefano Ceccanti, Verini e Parrini partono subito con un messaggio chiaro e netto: «Esprimiamo dissenso serio per la posizione che l’Associazione, tramite suoi esponenti di primo piano, ha espresso sul tema della separazione delle carriere, in vista del referendum. Dissenso serio, per il merito delle posizioni e anche», si legge nella lettera, «per l’attivismo con il quale si promuovono iniziative per il sì, quasi surclassando per impegno e determinazione quelle del ministro Nordio e della destra».
Ci si dà fin troppo da fare per favorire la “conferma popolare” della riforma, è la tesi di Verini e Parrini. Ma a strettissimo giro, Morando e Ceccanti, presidente e numero due di “Libertà eguale”, replicano con una nota altrettanto secca: «Riteniamo necessario dare rappresentanza con le iniziative della 'Sinistra che vota sì' sia a un’eredità preziosa di cui ci sentiamo partecipi sia a tante voci che, per vari motivi, da sinistra intendono esprimere il loro dissenso solo nel segreto dell’urna».
Non si tratta solo dell’attrito interno a una comunità sì importante come “Libertà eguale” ma pur sempre minoritaria nell’arcipelago delle correnti dem. Il tentativo di “redenzione” compiuto dal capogruppo Pd in Antimafia e dal vicepresidente della prima commissione del Senato è un segnale di allarme. Di preoccupazione. Dalle parti del Nazareno si è ben consapevoli d quanto la fronda interna sulla separazione delle carriere possa danneggiare la campagna per il No che il centrosinistra proverà a condurre in vista del referendum. I dissidenti sono un problema, dal punto di vista di Elly Schlein, non tanto per la loro consistenza numerica: il punto è che un’enclave favorevole al “divorzio” giudici-pm smentisce, di per sé, la tesi per cui la riforma Nordio sarebbe eversiva, e preluderebbe a un golpe istituzionale di fatto. Diventa difficile, per il Pd, per la sua maggioranza ortodossa, tenere alto il livello degli anatemi contro la modifica costituzionale, dal momento che una pur minoritaria fronda interna al partito esiste e, soprattutto, è sostenuta da argomentazioni culturali e giuridiche robuste, articolate, approfondite.
Non sembra un caso che il “richiamo” contenuto nella lettera di Verini e Parrini arrivi pochi giorni dopo la diffusione di un “Vademecum per il Sì alla separazione delle carriere” elaborato da Carlo Fusaro, che in “Libertà eguale” presiede il Comitato scientifico. Un dossier ampio e dettagliato, in cui si colgono passaggi persino sferzanti, rispetto alle tesi contrarie alla riforma. Fusaro propone, tra l’altro, uno schema sinottico in cui disarticola, una per una, le ragioni del No. Colpiscono soprattutto i passaggi relativi al sorteggio, l’aspetto della riforma Nordio che persino il leader di “Libertà eguale” Morando aveva giudicato con perplessità.
Ebbene, il professor Fusaro così confuta l’affermazione secondo cui i due Csm sorteggiati sarebbero “meno prestigiosi”: forse sanno meno rappresentativi, scrive, «ma perché meno prestigiosi? Non sempre (anzi raramente) figure di estrazione elettorale sono più prestigiose di altre scelte in modo diverso. Il prestigio lo può assicurare solo il modo in cui le funzioni attribuite vengono esercitate nel tempo». E a chi sostiene che i togati estratti a sorte sarebbero meno qualificanti, il presidente del Comitato scientifico di “Libertà eguale” ribatte: «Non è che l’elezione garantisca, a parità di altri requisiti, maggiore “qualificazione”. Garantisce solo solidarietà correntizie». Fino alla chiosa più lapidaria, che archivia l’idea per cui i due eventuali futuri Csm si trasformerebbero presto in un far west di cordate incontrollabili, e quindi “non risponderanno a nessuno”. Ironizza Fusaro: «Beh, è un vantaggio. Oggi rispondono, spesso se non per lo più, alle correnti».
Come si vede, la frattura fra i democrat anti-riforma e la componente favorevole al Sì è assoluta. Morando e Ceccanti, nella nota con cui respingono l’esortazione al ripensamento rivolta loro da Verini e Ceccanti, puntualizzano: «Il senso del referendum è quello di esprimere un giudizio sull’oggetto del quesito, anche a prescindere dal partito o dallo schieramento che votiamo». Viene quindi citata una elaborazione favorevole alle carriere separate che a sinistra è stata lunga «venticinque anni», si evocano il recente articolo di Augusto Barbera sul “Foglio” e la storica intervista di Giuliano Vassalli al “Financial times”. E si conclude con il riferimento alla “minoranza silenziosa e nascosta” della “sinistra per il Sì”.
Fin qui la lacerazione ideologico-culturale. Ma ce n’è una strettamente politica che forse è anche più dolorosa, per Elly Schlein e per quella gran parte del suo partito pronta a seguirla nella campagna per il No: è la lacerazione provocata dalle parole di figure come Pina Picierno, vicepresidente dem dell’Europarlamento la quale, anche in un’intervista al “Dubbio”, ha detto che «la separazione delle carriere non è eversiva, la sinistra ne ha spesso riflettuto con cognizione di causa e senza drammi». E ha concluso: «Faccio onestamente fatica a capire ragioni e toni del No». E ancora, a pesare sono le tesi di una voce autorevole come Goffredo Bettini, che al congresso Ucpi di Catania ha spiegato il suo sì alle carriere separate con la necessità di «tutelare il cittadino stritolato dalla macchina processuale».
“Libertà eguale”, Barbera, Picierno, Bettini, sembrano davvero le punte di iceberg che nel Pd vedono molti, come dicono Morando e Ceccanti, intimoriti dal dichiararsi favorevoli alla riforma. Eppure pronti, almeno nell’urna, a smentire gli anatemi sui quali si è arroccato il Nazareno.


