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C’è la prova che completa l’inchiesta de Il Dubbio. La prova che la vendita di Aget-Heracles, il più grande colosso cementiero greco, alla Calcestruzzi Spa è avvenuta attraverso una maxi-tangente. Tredici miliardi di lire che nel febbraio 1992 attraversano la Svizzera per finire nelle mani di un intermediario greco incaricato di “rastrellare” le azioni. Denaro proveniente dalle cave di Carrara controllate da Totò Riina tramite i fratelli Buscemi.
La prova emerge rileggendo un verbale del 19 aprile 1994. Quel giorno, nel Tribunale di Massa Carrara, il procuratore Augusto Lama e il maresciallo Franco Angeloni interrogano Giuseppe Berlini, il tesoriere occulto del Gruppo Ferruzzi. Quello che confessa è devastante: ammette di aver gestito il transito di tredici miliardi dall’Imeg - l’Industria Marmi e Graniti dei Buscemi - fino a Lorenzo Panzavolta, che li ha girati a «l’uomo di affari greco Giorgiadis» per l’operazione Heracles. Il verbale viene trasmesso al pm Francesco Iacovello di Ravenna che indagava sulle tangenti del Gruppo Ferruzzi. Quelle parole sono la prova di come il denaro di Riina scivola tra conti svizzeri anonimi per “rastrellare” il gioiello industriale della Grecia.
Da Via D’Amelio alle strade di Atene
Era il 24 gennaio 1994 quando due uomini in motocicletta affiancarono l'auto di Vranopoulos nel quartiere di Nea Filadelfia ad Atene. L’ex governatore della Banca Nazionale Greca stava per testimoniare in un’inchiesta sulla vendita truccata del 70% delle azioni di Aget-Heracles, il più grande colosso cementiero greco, alla Calcestruzzi Spa. Una vendita avvenuta l'11 marzo 1992, il giorno prima dell’omicidio di Salvo Lima, inizio della strategia stragista di Cosa Nostra. Il gruppo terroristico 17 novembre rivendicò l'assassinio accusando una vendita opaca che aveva visto complici il primo ministro Konstantinos Mitsotakis, il ministro dell’Economia Stefanos Manos e lo stesso Vranopoulos.
Il Parlamento greco votò per una Commissione d'inchiesta. Ma tutto si fermò.
La tangentopoli greca venne evitata. Quello che i greci non sapevano è che dietro quella vendita c'era una tangente. E che la Calcestruzzi Spa era controllata, tramite Lorenzo Panzavolta, da Totò Riina attraverso i fratelli Buscemi. Che il dossier “mafia-appalti” dei Ros, depositato alla Procura di Palermo nel febbraio 1991, ma non valorizzato nel biennio 91-92, aveva svelato questa infiltrazione. Che Paolo Borsellino aveva intuito che la strage di Capaci e l’omicidio Lima erano riconducibili alla questione degli appalti e aveva ben presente l'infiltrazione mafiosa nella Calcestruzzi Spa. Dopodiché, la strage di Via D’Amelio. E quando avvenne l’attentato contro Vranopoulos nel gennaio 1994, Alessandro Pansa, all'epoca capo dello Sco, chiese una rogatoria alla Procura di Palermo. Una rogatoria mai eseguita.
La confessione del tesoriere Berlini
Torniamo al verbale del 1994. Giuseppe Berlini parla. E quello che dice è devastante. «Con riferimento alla persona che mi informò del prossimo accreditamento di una cifra cospicua, che poi risultarono essere i 13 miliardi di lire... posso dire con quasi certezza che si sia trattato di tale Zaffali Viscardo, un ex funzionario del Gruppo Ferruzzi». I tredici miliardi affluiscono su un conto della sua struttura presso la Banca della Svizzera Italiana a Ginevra. Ma attenzione: «Non si trattava di un vero e proprio conto corrente bancario, bensì di un conto di fatto non bancariamente documentato che io gestivo tra alcune società del Gruppo Ferruzzi, tra cui la Calcestruzzi Ravenna».
Denaro fantasma che non lascia tracce ufficiali. Il bonifico parte dalla Paribas, filiale di Zurigo. È il febbraio 1992. Berlini trascrive su un appunto privato la cifra: 13 miliardi. Con l'indicazione “Imeg”. Parliamo dell'Industria in mano ai fratelli Buscemi, le cave di Carrara privatizzate nel 1987-88 dall'Eni-Samin alla Calcestruzzi Ravenna attraverso una svalutazione artificiosa.
Ma è quello che Berlini dice dopo a far gelare il sangue. «Quanto all'utilizzo dei 13 miliardi menzionati, preciso che questi sono serviti a compensare l'esposizione che in quel momento avevo per precedenti richieste del Panzavolta di pagamento, con particolare riferimento all'operazione “Heracles”, di cui ho già parlato al dott. Jacoviello, ma soprattutto in tal senso al pagamento di somme di danaro all'uomo di affari greco Giorgiadis, che era colui che doveva rastrellare le azioni della “Heracles”, sempre peraltro per conto della Calcestruzzi».
Eccola, la prova. Tredici miliardi di lire - provenienti dall’Imeg dei Buscemi - attraversano i conti svizzeri per giungere nelle mani del greco Giorgiadis. Data del pagamento: febbraio 1992. Data della vendita di Heracles: 11 marzo 1992. Un mese. Il tempo necessario perché il denaro faccia il suo sporco lavoro.
La mappa delle infiltrazioni
Per capire chi ha davvero comprato Heracles bisogna entrare nel labirinto delle società che collegano Palermo a Ravenna, Carrara e la Grecia. Tutto parte dall'indagine del procuratore Lama sulle infiltrazioni mafiose nelle zone marmifere di Carrara. I fratelli Buscemi - Salvatore, Antonino, Giuseppe - e la famiglia Bonura sono i reggenti del mandamento mafioso Passo di Rigano-Uditore. Lo confermarono già tutti i “dichiaranti” mafiosi, da Buscetta a Calderone. Operano nel settore edile ed estrattivo attraverso la Generali Impianti Spa di Palermo e una rete di partecipazioni incrociate che li lega alla Calcestruzzi Ravenna. Nel 1984 la Calcestruzzi Palermo cede il 100% del pacchetto azionario alla Calcestruzzi Ravenna.
Nel 1987-88 avviene il colpo grosso. L’Eni privatizza il settore lapideo attraverso una svalutazione del 30% delle giacenze Imeg e Sam, orchestrata dal geometra Girolamo Cimino, cognato dei Buscemi. La Calcestruzzi Ravenna rileva il pacchetto a prezzi scontati, mentre la Generali Impianti diventa la principale destinataria della produzione marmifera. Nell’estate 1991, un’intercettazione capta una conversazione su un “summit” a Ravenna presso la Calcestruzzi. Presenti «pretori o roba del genere», tra cui «uno anche di Palermo». Il messaggio: allontanate i mafiosi perché c'è un'indagine in corso. Ma i Buscemi restano. E quando nel febbraio 1992 servono tredici miliardi per “rastrellare” le azioni di Heracles, quei soldi arrivano proprio dalle cave controllate da Riina.
Il denaro fantasma: da Zurigo alla Grecia
Berlini, nel suo interrogatorio, spiega il meccanismo. «Si è trattato di un’operazione estero su estero», dice. Il bonifico parte dalla Paribas di Zurigo, arriva alla Banca della Svizzera Italiana a Ginevra, su un conto gestito da lui stesso attraverso «diverse società solo documentalmente esistenti ed in genere con sede all’estero». Nel proclama dei terroristi greci si parla di un’operazione opaca con «manipolazione intenzionale» della gara. «Calcestruzzi era stata preselezionata e un accordo segreto con la Banca Nazionale Greca aveva falsato la concorrenza». Vranopoulos era il governatore di quella banca e stava per testimoniare quando venne ucciso. Quello che i greci non sapevano è che dietro quell'operazione c'era un fiume di denaro mafioso che aveva attraversato la Svizzera nel febbraio 1992 per finire nelle mani di Giorgiadis. Quando Vranopoulos viene assassinato nel gennaio 1994, Alessandro Pansa intuisce il collegamento e chiede una rogatoria alla Procura di Palermo, al procuratore Giuseppe Pignatone. Ma quella rogatoria non viene mai eseguita. Il filo rosso che collega le strade partendo da Ravenna, passando per Palermo e arrivando ad Atene non è mai stato dipanato fino in fondo. Le autorità greche non sanno che è stato svenduto un Paese attraverso il denaro di Riina. E con solo 13 miliardi di lire. È una storia insabbiata, una storia completamente sbagliata.