Atene, 24 gennaio 1994, ore 8:30 del mattino. Michalis Vranopoulos, ex governatore della Banca Nazionale Greca, si dirige verso il suo studio legale nel quartiere di Nea Filadelfia. È un lunedì freddo e plumbeo. L’uomo è scortato dal suo autista-guardia del corpo, ma la protezione non basterà. Due uomini in motocicletta si affiancano all’auto. Partono i colpi. Vranopoulos viene centrato più volte. Sopravvive all’agguato iniziale, ma muore poco dopo in ospedale. Anche il suo autista rimane gravemente ferito.

È la firma inconfondibile del gruppo terroristico 17 Novembre, l’organizzazione di estrema sinistra che ha insanguinato la Grecia colpendo politici, industriali, funzionari americani. Ma questa volta c’è qualcosa di diverso. Non è solo un altro omicidio politico. È l’epilogo violento di uno scandalo che affonda le radici in un’operazione finanziaria avvenuta l’11 marzo 1992. Una data significativa: il giorno dopo, in Sicilia, la mafia ucciderà Salvo Lima, inizio della strategia stragista.

L’operazione ha visto protagonista un nome destinato a risuonare anche nel dossier mafia-appalti dei ROS, un nome che in quel momento (parliamo sempre del 1992) non era stato valorizzato dalla Procura di Palermo: la Calcestruzzi SpA del gruppo Ferruzzi-Gardini. Emerge un fatto inedito: quando avvenne l’attentato in Grecia, Alessandro Pansa, all’epoca capo dello Sco, chiese una rogatoria alla Procura di Palermo, in particolare al procuratore Giuseppe Pignatone. Risulta che però non fu mai eseguita.

Il proclama con cui il 17N rivendica l’assassinio è lungo, dettagliato, accusatorio. Un messaggio violento di propaganda rivoluzionaria, ma nel contempo un atto d’accusa preciso contro quella che viene definita “la vendita dell’AGET-HERACLES”, la principale cementeria greca, ceduta alla Calcestruzzi SpA attraverso un’operazione opaca che avrebbe visto complici il Primo Ministro Konstantinos Mitsotakis, il ministro dell'Economia Stefanos Manos e lo stesso Vranopoulos. Ma in quell’assassinio si registra subito un dettaglio inquietante: Vranopoulos era in procinto di testimoniare in un’inchiesta giudiziaria sulla presunta vendita truccata del 70 per cento delle azioni al colosso italiano. Un’inchiesta destinata a finire nel nulla.

Il gioiello ellenico

AGET Heracles era il gioiello della corona: la più grande cementeria greca, con stabilimenti a Volos e Aliveri capaci di produrre 5,5 milioni di tonnellate in un solo anno. L’azienda controllava 18 società sussidiarie in navigazione, calcestruzzo, carbone, estrazione mineraria e costruzioni metalliche. Nel 1993, poco dopo l’acquisizione italiana, la produzione raggiunse 12,668 milioni di tonnellate di cemento, con il 50% destinato all’export verso USA e Italia. Un affare gigantesco che coinvolgeva la Calcestruzzi, controllata – tramite Lorenzo Panzavolta – da Totò Riina attraverso i fratelli Buscemi.

Nel maggio 1994, a seguito dell’assassinio, si accende un dibattito parlamentare. I deputati del PASOK sostengono che la gara sia stata una “manipolazione intenzionale” per ottenere un prezzo basso. L’accusa principale: Calcestruzzi era stata preselezionata e un accordo segreto con la Banca Nazionale Greca aveva falsato la concorrenza. Il Parlamento vota per l’istituzione di una Commissione d’Inchiesta, ma le buone intenzioni finiscono nel nulla. Le accuse di Papandreou contro Mitsotakis vengono archiviate: entrambi i partiti hanno interesse a non approfondire. L’indagine della magistratura si arena. La tangentopoli greca viene evitata.

Il summit segreto di Ravenna

Per comprendere questo intreccio bisogna tornare al febbraio 1991. I ROS dei Carabinieri, su impulso di Giovanni Falcone, depositano alla Procura di Palermo il dossier “mafia-appalti”. È un’indagine che dimostra come Cosa Nostra abbia infiltrato sistematicamente il sistema degli appalti pubblici, principalmente in Sicilia, stabilendo rapporti simbiotici con grandi gruppi industriali del Nord.

Tra i nomi che emergono ci sono i fratelli Salvatore e Antonino Buscemi, boss mafiosi della famiglia di Boccadifalco, a Palermo. I Buscemi sono i “colletti bianchi” della criminalità organizzata. Hanno società. E soprattutto, sono soci nella Calcestruzzi SpA del gruppo Ferruzzi-Gardini. Il dossier non rimane segreto a lungo. Come scriverà anni dopo la giudice Gilda Loforti: “Risulta assolutamente certo che l’informativa del febbraio del 1991, denominata 'mafia-appalti', fu illecitamente divulgata prima della emissione dei provvedimenti restrittivi”. Qualcuno avvisa. Qualcuno dall’interno della magistratura fa uscire il dossier. E i destinatari dell’avviso non sono solo i mafiosi.

Estate 1991. Mentre il dossier mafia-appalti circola illecitamente, mentre Falcone tuona contro le infiltrazioni mafiose durante un convegno pubblico a marzo («questo sa tutte cose, questo ci vuole consumare», dirà allarmato Antonino Buscemi), accade qualcosa di straordinario. Un’intercettazione del 14 luglio 1991, condotta dall’ex guardia di finanza Franco Angeloni, braccio destro del PM Augusto Lama di Massa Carrara, capta una conversazione inquietante tra due ingegneri delle cave di Carrara. Si parla di un “summit supremo” avvenuto a Ravenna, presso la sede della Calcestruzzi SpA.

Presenti: “pretori o roba del genere”, tra cui “uno anche di Palermo”. Qualcuno dall’autorità giudiziaria di Palermo si reca a Ravenna per incontrare i vertici della Calcestruzzi. Il messaggio, come traspare dal racconto dei due, è chiaro: allontanate i mafiosi perché c’è una indagine in corso. Ma nonostante l’avvertimento, i fratelli Buscemi continuano a essere presenti e attivi nelle società del gruppo Ferruzzi.

È il periodo in cui il capo della Procura di Palermo, Pietro Giammanco, cerca irritualmente di inviare il dossier mafia-appalti (ancora coperto da segreto istruttorio) al ministro della Giustizia Claudio Martelli. Solo l’intervento furioso di Falcone blocca questa irregolarità. È il periodo in cui, secondo l’indagine della Procura di Caltanissetta guidata da Salvatore De Luca, il sostituto Gioacchino Natoli – oggi indagato – avrebbe insabbiato con Pignatone le indagini segnalate da Massa Carrara sui Buscemi e sul gruppo Ferruzzi. Entrambi si dichiarano innocenti. È il periodo in cui le deleghe ai ROS, conferite nell'estate ‘91, non contengono indicazioni per approfondire il ruolo dei Buscemi. Una “coincidenza” sanata solo dopo le stragi.

Paolo Borsellino, già nel 1991 quando era a Marsala, prende quel dossier e ne farà il suo chiodo fisso. «La causa della morte di Falcone è riconducibile agli appalti», dirà a Luca Rossi il 2 luglio 1992. Il giorno prima aveva interrogato Leonardo Messina, che gli rivelò: «Totò Riina è il maggiore interessato della Calcestruzzi». Messina lo aveva saputo lamentandosi di aver ricevuto poco da un appalto miliardario. “L’ambasciatore” di Giuseppe Madonia gli aveva risposto di lasciar perdere: c’erano gli interessi di Riina tramite la Calcestruzzi di Gardini.

Per la seconda volta, dopo la seconda nota da Carrara che intercetterà lui stesso e l’assegnerà a Lo Forte e Pignatone, Borsellino trovò il riscontro del dossier ROS. Il cerchio si chiudeva. Giovanni Bini rappresentava il gruppo in Sicilia. Lorenzo Panzavolta, braccio destro di Gardini e amministratore della Calcestruzzi, era il terminale milanese del patto scellerato. Diciotto giorni dopo, Borsellino moriva in Via D’Amelio. Le sentenze sulle stragi evidenziano come mafia-appalti fu una causa scatenante.

Nel 1993 si suicida Raul Gardini. Lo stesso anno muore Sergio Castellari, ex direttore generale del ministero delle Partecipazioni statali, in circostanze dubbie. Periodo in cui, dopo il biennio 91-92, la cattura di Riina e l’infuriare di Tangentopoli, implodono gli affari tra la Ferruzzi e le società palermitane legate a Cosa Nostra. Vicenda enorme, inquietante, che non si fermava ai confini nazionali. Ma tutto questo, impegnato a inseguire il M5S e le tesi fuorvianti di Report, il PD in commissione antimafia non lo sa.