La Cassazione, con una sentenza depositata il 7 luglio 2025, torna a pronunciarsi sul delicato tema degli obblighi di mantenimento nei procedimenti di separazione, chiarendo un punto cruciale: l’omesso pagamento dell’assegno stabilito dal giudice a favore del coniuge separato integra comunque reato, anche se il matrimonio viene in seguito dichiarato nullo dalla giustizia ecclesiastica e tale pronuncia è delibata dalla Corte d’Appello.

La vicenda giudiziaria trae origine da una separazione pronunciata dal Tribunale di Nola, che aveva imposto all’uomo il versamento di un assegno mensile per il mantenimento della moglie. L’imputato, tuttavia, dal marzo 2019 al maggio 2022 non aveva adempiuto all’obbligo, accumulando un debito consistente. Nel frattempo, la Corte d’Appello di Napoli, accogliendo la richiesta di una delle parti, aveva dato esecuzione civile a una sentenza ecclesiastica che dichiarava nullo quel matrimonio, ritenendolo inesistente sin dall’origine.

La difesa dell’imputato ha basato il ricorso su questa circostanza: se il matrimonio non è mai esistito, sosteneva, anche l’obbligo di mantenimento decade retroattivamente, e con esso viene meno il reato contestato ai sensi dell’articolo 570-bis del codice penale: violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio.

La Cassazione, però, ha respinto questa interpretazione, ribadendo un orientamento che negli ultimi anni si è andato consolidando. Secondo i giudici, la norma introdotta nel 2018 punisce l’inadempimento non solo verso i figli, ma anche nei confronti dell’ex coniuge, a prescindere dalla successiva sorte del vincolo matrimoniale. L’articolo 570-bis si colloca infatti in continuità con le precedenti disposizioni penali che già sanzionavano la violazione degli obblighi di assistenza familiare nelle ipotesi di separazione o divorzio.

I giudici di Cassazione nella sentenza hanno sottolineato un passaggio chiave: la responsabilità penale scatta anche in presenza di provvedimenti provvisori, come quelli disposti dal Presidente del Tribunale in fase di separazione. Non è necessario attendere quindi una sentenza definitiva, perché gli obblighi stabiliti dal giudice hanno immediata efficacia. Quanto alla nullità del matrimonio dichiarata in sede ecclesiastica e poi riconosciuta dallo Stato italiano, la Cassazione ha spiegato che tale pronuncia non ha effetto retroattivo sugli obblighi economici già sorti e già violati. Tale principio è legato alla disciplina del cosiddetto “matrimonio putativo”: fino a quando non interviene la sentenza della Sacra Rota, gli obblighi assistenziali restano pienamente vincolanti. E anche dopo il provvedimento del tribunale ordinario della Santa Sede, l’annullamento non cancella la responsabilità penale maturata nel frattempo.

Nello specifico, gli ermellini scrivono: «La sentenza dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, dunque, non elide retroattivamente l'obbligo di corresponsione dell'assegno stabilito nel giudizio di separazione, ma impone al giudice civile di verificare l'applicabilità o meno nel caso di specie della disciplina del matrimonio putativo. Questi rilievi rendono ultronei gli argomenti svolti dai difensori in ordine all'analogia della fattispecie oggetto del presente ricorso con i casi di sopravvenuta caducazione retroattiva della qualifica nei reati propri, in quanto le situazioni non sono comparabili». Ed ancora, tornando al caso in esame, «la Corte di appello ha, infatti, definito l'inadempimento posto in essere dall'imputato “consistente e duraturo” e l'ampio lasso temporale (dal 5 marzo 2019 al 30 maggio 2022) in cui la condotta illecita si è protratta non consente di ricondurre la stessa, neppure in astratto, all'ambito applicativo della non punibilità per particolare tenuità del fatto sancita dall'art. 131-bis del codice penale».