Nel sempre più complesso dedalo giudiziario sull’asse Pavia-Brescia in cui si intersecano diversi filoni d’indagine che riconducono, almeno sul piano mediatico, al delitto di Chiara Poggi, ci occupiamo oggi di un segmento di due procedimenti - “Clean 1” e “Clean2” – in corso dinanzi al tribunale pavese in cui è imputato Maurizio Pappalardo, ex Comandante provinciale dei Nucleo informativo dei Carabinieri di Pavia, per stalking e corruzione.

I suoi avvocati, Beatrice Saldarini e Lorenzo Meazza, hanno chiesto ai giudici, che per ora si sono riservati, di dichiarare inutilizzabili le comunicazioni whatsapp del loro assistito, perché acquisite illegittimamente dalla procura di Pavia. Una storia che fa capire quanto sia sempre più urgente l’approvazione del ddl Zanettin sui limiti ai pubblici ministeri nel sequestro degli smartphone, sequestro che dovrebbe essere autorizzato da un gip. Ma veniamo ai dettagli della vicenda.

Pappalardo nel 2024 venne raggiunto da un provvedimento di sequestro emesso in un procedimento per peculato – inchiesta “Clean” - , quale soggetto terzo rispetto all’ipotesi di reato riguardante una possibile condotta da altri posta in essere nell’ambito di una società municipalizzata. Pappalardo, che all’epoca era assistito da altri legali, nell’ottica di una proficua collaborazione con l’Autorità procedente, consegnò tre cellulari e un notebook e relative chiavi di accesso, confidando in una disamina dei dati confinata all’ipotesi di reato di cui al decreto. Così non è stato - spiegano i legali in una dettagliata memoria - in quanto «non vi è stata alcuna selezione dei contenuti pertinenti all’ipotesi di reato che avevano legittimato perquisizione e sequestro, ma si è passati alla esplorazione in tutta libertà dell’intero materiale copiato, alla ricerca di notizie di reato di qualsivoglia genere, in modo del tutto svincolato dal campo di indagine tracciato dal decreto».

Saldarini e Meazza ricordano che «poiché ogni strumentazione informatica può contenere un’elevata quantità di informazioni, ne discende il pericolo di attività investigative “esplorative” e l’ineludibile necessità di tutelare la sfera dei diritti dell’individuo coinvolto nell’attività d’indagine. Più volte la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui «è illegittimo, per violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza, il sequestro a fini probatori di una massa di dati informatici, senza alcuna previa selezione di essi e comunque senza l’indicazione dei relativi criteri». E invece gli investigatori della procura di Pavia avrebbero posto in essere una «indiscriminata apprensione di una massa di dati informatici, senza alcuna previa selezione di essi e senza la preventiva indicazione dei criteri di selezione», al contrario di quanto richiesto da una consolidata giurisprudenza, anche sovranazionale, la quale «assume che l’esame totalizzante da parte degli inquirenti vanifica la delimitazione dell’oggetto del sequestro, che dovrebbe conseguire dall’uso in funzione selettiva di parole chiave, essendo vietato il monitoraggio preventivo con funzione esplorativa volto a ricercare altre ed eventuali notizie di reato».

Saranno proprio le conversazioni chat estrapolate dai dispositivi ad essere poste a fondamento della richiesta cautelare formulata il 13 settembre 2024 e del relativo provvedimento restrittivo del 24 ottobre 2024 nei confronti di Pappalardo, con cui venne applicata la misura degli arresti domiciliari. Per gli avvocati, «così ricostruito il modus procedendi adottato per l’acquisizione e l’impiego dei dati digitali, ne consegue che tale materiale probatorio sia del tutto illegittimo, in quanto acquisito in dispregio di principi costituzionali e sovranazionali, e, pertanto, inutilizzabile», in quanto il trasferimento di dati da un procedimento in cui Pappalardo era terzo interessato a due nuovi processi in cui risulta imputato «ha trasformato il mezzo di ricerca della prova in un monitoraggio preventivo volto a reperire notizie di reato, in sostanza, in uno strumento di illegittima compressione dei diritti».

Per i due difensori la vera «patologia» di tutto questo «deriva dalla illegittima violazione della sfera di riservatezza al di fuori dei presupposti declinati dall’articolo 15 della Costituzione, disposizione che stabilisce che la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili e che la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge». Per non parlare del fatto che «l’acquisizione dei dati è stata resa nota al diretto interessato ed alla difesa dopo che si era già realizzata ed esaurita l’illegittima disamina del data set, sequestrato un anno prima».

Al di fuori della memoria, così commenta al Dubbio l’avvocato Saldarini: «Alla illegittima acquisizione di dati riservati è seguita – come da copione – la loro diffusione. Oggi la vita intera di Pappalardo è nelle mani della stampa: anche fotografie, messaggi, scritti dal contenuto privatissimo, che nulla hanno a che vedere con l’indagine svolta e con i reati contestati. Tutto in pasto allo show mediatico in atto, a quell’intrattenimento giudiziario, ormai quotidiano, che soddisfa curiosità morbose e rischia di compromettere l’imparzialità dei giudici. Una deriva molto distante dalle finalità dell’informazione giudiziaria e, soprattutto, dal rispetto dei principi fondamentali della giustizia».