PHOTO
CARLO NORDIO, MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
Che Carlo Nordio avesse in animo di proporre un “ddl penale bis”, una riforma più strutturata del processo, è ormai noto, ed era stato più volte dichiarato dal guardasigilli. Ieri sull’argomento, di cui più volte ci si è occupati anche su queste pagine, è tornato il Fatto quotidiano. Con un ampio servizio e molti dettagli.
L’articolo riferisce non solo e non tanto del “core business” originariamente individuato per un nuovo eventuale disegno di legge del guardasigilli, vale a dire le misure cautelari, ma altri aspetti pure importanti. Dall’obbligo di avvisare il difensore, in caso di perquisizioni, con un anticipo tale da consentire all’avvocato l’effettiva presenza sul luogo delle operazioni, alla delicatissima materia della tempestiva iscrizione a registro, da parte dei pm, delle persone indagate. Si tratterebbe davvero di una riforma penale nel senso più ampio del termine, tenuto conto che su diversi altri aspetti non avrebbe senso rivedere, a così breve distanza, le novità introdotte dalla legge Cartabia (la legge 134 del 2021, poi perfezionata con il decreto legislativo 150 del 2022).
È un progetto ambizioso. Molto. Che bisserebbe e completerebbe il lavoro iniziato con il primo ddl penale di Nordio, la legge 114 del 2024, che pure ha introdotto norme di civiltà come l’effettivo divieto di ascolto delle conversazioni fra indagato e assistito, l’interrogatorio preventivo e i parziali limiti all’impugnabilità delle assoluzioni, oltre ad aver abolito l’abuso d’ufficio, reato più disfunzionale che utile.
Il guardasigilli, già nel maggio 2023, dunque prima ancora di ottenere il definitivo via libera alla riforma penale del 2024, aveva appunto istituto una nuova commissione di studio “ad hoc”, e l’aveva affidata a un magistrato, come quasi sempre avviene: il capo del suo Ufficio legislativo di via Arenula, Antonio Mura. Come documentato ieri dal Fatto, il gruppo di lavoro ha concluso il proprio approfondimento e tirato giù una bozza, non ancora esaminata dal ministro. Ma la verità è che il progetto rischia di non vedere mai la luce. E le ragioni sono politiche, ma anche di carattere strettamente pratico.
Come riferito sul Dubbio dal Valentina Stella a fine agosto, e come più volte prefigurato su queste pagine da diversi mesi, il centrodestra, ma soprattutto il governo e, più di tutti, Giorgia Meloni e Alfredo Mantovano, sono molto preoccupati dall’idea di fornire all’Anm, e al centrosinistra, il pretesto per “denunciare” una presunta “politica dell’impunità”. Dare concretezza al diritto del difensore di assistere alle perquisizioni, con norme di salvaguardia per proteggere i documenti da acquisire, non sarebbe in realtà un assist ai delinquenti, ma un atto di civiltà. Solo che la propaganda avversaria parlerebbe, legittimamente anche se a torto, di intenti filocriminali.
Non se ne può fare nulla perché in gioco c’è la separazione delle carriere, dossier che val bene il sacrificio di altre riforme. Se passasse la leggenda che Nordio e Meloni, con le loro leggi, vogliono aiutare i furfanti (e sarebbe paradossale, visto che il governo di centrodestra ne ha combinate, casomai, di tutti i colori nella direzione opposta, basti pensare al reato di resistenza passiva), sarebbe facile sostenere, nella campagna per il referendum sulle “carriere”, che lo stesso “divorzio” giudici-pm rientra in un’unica scellerata deregulation. È la propaganda, bellezza, e Nordio deve rassegnarsi.
Certo, in teoria potrebbe mettere mano al suo “ddl penale bis” dopo l’eventuale vittoria alla consultazione confermativa sulle carriere separate. Ma il tempo non ci sarà: di provvedimenti da “scongelare” in fretta e furia, entro le Politiche 2027, c’è una lista già troppo lunga: dalla prescrizione all’ormai romanzesca “legge Smartphone” di cui si dà ampiamente conto nel giornale di oggi. Tutti provvedimenti già approvati da anni, ormai, in una delle due Camere, e che sarebbe assurdo non licenziare in via definitiva. Sull’ineluttabilità della situazione è sorta ieri una polemica a distanza, con Nordio che ha diffuso un comunicato contro il Fatto e in particolare contro il collega autore del retroscena. Contestazione esagerata, visto che, se pure una forzatura letterale c’era, la si trovava piuttosto nel titolo che nell’articolo.
Ma certo, una cosa indiscutibile Nordio, nel comunicato, l’ha detta: la commissione per la nuova riforma penale “è composta in gran parte da magistrati, molti dei quali sfavorevoli alla riforma che stiamo facendo”. Verissimo: 28 fra giudici e pm contro appena 9 fra avvocati e accademici. Il che può solo confermare l’estrema difficoltà dell’impresa, pur lodevolissima, che il ministro della Giustizia si era proposto di realizzare.
Ultima notazione: norme come il vincolo a iscrivere l’indagato a registro non appena ne emergano i presupposti, o come la facoltà, concessa al gip, di retrodatare l’iscrizione, sono idee che solo un campione di garantismo come Nordio poteva prospettare, almeno nel centrodestra. Ma è tutto lì, nel ddl dei sogni. Che tale resterà qualora non fosse Nordio il guardasigilli anche nella prossima legislatura.