PHOTO
IL PALAZZO DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Mentre alla Camera la proposta di legge sui limiti ai pubblici ministeri nel sequestro degli smartphone è arenata a causa di divergenze all’interno della stessa maggioranza, la Cassazione ha emesso una sentenza (n. 33657 del 13 ottobre 2025) con cui in sostanza si bacchetta un pubblico ministero per aver disposto il sequestro di un telefonino e del suo contenuto senza una adeguata motivazione e in maniera sproporzionata, e non preoccupandosi di bilanciare l’atto con il diritto alla segretezza e riservatezza.
Insomma, nel momento in cui in Parlamento si accapigliano i garantisti di Forza Italia con i reazionari di Fratelli d’Italia, mentre la Lega resta a guardare, la giurisprudenza di legittimità pone dei freni alla esorbitanza di certa magistratura requirente che pure si è lamentata durante le audizioni col legislatore per voler introdurre nel codice di rito una previsione normativa volta maggiormente a tutelare la privacy di noi cittadini. Ma vediamo nel dettaglio.
Tutto nasce da un ricorso a Piazza Cavour presentato da, procuratore della Repubblica di Bergamo contro un’ordinanza del Tribunale che, accogliendo una istanza di riesame presentata da un difensore, ha annullato un decreto di perquisizione e sequestro emesso dal pm e ha disposto la restituzione del telefono cellulare sequestrato e della copia forense eventualmente già estratta alla persona interessata, peraltro non indagata.
Il Tribunale del riesame aveva rilevato «il difetto di motivazione del decreto impugnato», sia in ordine «al vincolo di pertinenzialità tra i dispositivi telefonici oggetto del sequestro e il reato», sia in ordine «alla finalità di apprendere la totalità dei dati informatici». Inoltre, il Tribunale aveva ritenuto che il sequestro avesse violato il principio di proporzionalità della cautela reale, poiché era stato disposto sui telefoni cellulari «senza esplicitazioni delle ragioni che imponessero la necessità di estenderlo a tutti i dati informatici in esso presenti, così esorbitando le esigenze di indagine e finendo per incidere sulla prospettata esigenza probatoria, che assume una connotazione esplorativa non consentita».
Il pm aveva proposto ricorso per Cassazione. Se da un lato, tra le varie eccezioni, aveva riconosciuto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, nel caso di sequestro probatorio, «occorre illustrare le informazioni oggetto di ricerca e indicare il perimetro temporale dei dati di interesse», dall’altro lato ha osservato «che questa attività può essere effettuata soltanto nella fase esecutiva alla presenza delle parti e dei consulenti, mentre al momento delle operazioni di perquisizione e sequestro, la polizia giudiziaria deve limitarsi ad apprendere il dispositivo, quale “mero contenitore”, posto che qualsiasi estrazione immediata nel suo contenuto comporterebbe una manipolazione indebita».
La Cassazione ha però ritenuto infondato il ricorso sotto diversi profili. La seconda sezione penale ha criticato l’operato del pm per aver omesso nel suo decreto di perquisizione di «precisare le ragioni per le quali è necessario disporre un sequestro esteso e onnicomprensivo; indicare i criteri che devono presiedere alla selezione dei dati informatici, mediante l’enucleazione di “parole chiave” e delle ragioni della perimetrazione temporale, eventualmente più ampia di quella indicata nell’imputazione provvisoria; indicare, infine, la tempistica necessaria all’estrapolazione dei dati ritenuti rilevanti». Gli ermellini a supporto delle motivazioni della sentenza hanno ricordato come, secondo la giurisprudenza della Corte, «è illegittimo il decreto di sequestro probatorio di un telefono cellulare con il quale il pm acquisisca la totalità dei messaggi, filmati e fotografie ivi contenuti, senza indicare le ragioni per le quali, ai fini dell’accertamento dei reati ipotizzati, si rende imprescindibile la integrale verifica di tutti i predetti dati e si giustifica, nel rispetto del principio di proporzionalità, un così penetrante sacrificio del diritto alla segretezza della corrispondenza».
Inoltre, in tema di sequestro probatorio di documenti informatici e telematici contenenti dati sensibili è stato anche precisato che «l’obbligo motivazionale del provvedimento ablatorio può dirsi adempiuto qualora, tenuto conto del momento processuale in cui è stato adottato, nonché delle peculiari esigenze di accertamento del reato, il pubblico ministero abbia indicato in maniera specifica, ancorché concisa, le ragioni determinanti la necessità di una limitazione temporanea alla disponibilità esclusiva dei dati da parte del destinatario del provvedimento ablatorio». Infine, il decreto del pm, al fine di consentire una adeguata valutazione della proporzionalità della misura sia nella fase genetica che in quella esecutiva, «deve illustrare le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e omnicomprensivo o, in alternativa, le specifiche informazioni oggetto di ricerca, i criteri di selezione del materiale informatico archiviato nel dispositivo, con la giustificazione dell’eventuale perimetrazione temporale dei dati di interesse in termini sensibilmente difformi rispetto ai confini temporali dell’imputazione provvisoria e i tempi entro cui verrà effettuata tale selezione, con conseguente restituzione anche della copia informatica dei dati non rilevanti».


