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MELONI E SALVINI
C'è una questione che l'esito delle ultime elezioni amministrative ha nuovamente svelato in tutta la sua portata: la legge elettorale. E non a caso, sul fronte della politica interna la polemica più frizzante degli ultimi giorni si è sviluppata attorno a questo tema. Matteo Renzi, in un'intervista, ha affermato che “Giorgia Meloni farà di tutto per cambiare la legge elettorale”, mentre nel corso del question time la ministra per le Riforme Elisabetta Casellati non ha scoperto le carte del governo, affermando che per il momento la questione della riforma elettorale non è all'ordine del giorno. A Palazzo Chigi però ci stanno pensando, anche se si guardano dal sollevarla apertamente in questa fase, per evitare l'accusa di voler mettere mano al dossier in tempi sospetti, e quindi in modo strumentale.
Casellati, interpellata in merito dalle opposizioni, si è affrettata a rispondere in modo netto che «presso il governo, ad oggi, non è stato attivato alcun “tavolo”, politico o tecnico, formale o informale, che abbia il mandato di modificare la legge elettorale vigente, né la materia risulta all'ordine del giorno dei lavori parlamentari». Ma allo stesso tempo, Casellati ha fatto capire che la maggioranza non si farà inibire da chi, a suo avviso, ha creato dei precedenti procedendo in passato “a strappi” su questo terreno. «Quanto poi all'accorata preoccupazione manifestata dagli interroganti», ha proseguito, «circa il 'vulnus democratico' che sarebbe ipoteticamente inferto dalla possibilità futura che il governo ponga il voto di fiducia su una legge elettorale che dovesse approvare nell'arco della legislatura, ebbene, questa preoccupazione mi meraviglia fino allo stupore, visto che in tema di legislazione elettorale ripetuti vulnera, nei fatti e non nelle presunte intenzioni, sono stati commessi proprio dal governo Renzi e poi dal governo Gentiloni per ben otto volte su una stessa legge elettorale». «Faremo di tutto», ha concluso, «per non seguire il vostro esempio». Una presa di posizione, insomma, che nella smentita di un disegno di modifica nel breve da parte del governo, contiene anche un velato avvertimento in senso contrario.
Il deputato renziano Roberto Giachetti ha gettato un sasso nello stagno, affermando che la ministra «ha smentito» la premier, cercando di stanare Palazzo Chigi, senza successo. La partita è alle battute iniziali, e non si limita alla sola legge per l'elezione del parlamento nazionale, ma anche a quella per l'elezione dei comuni con più di 15mila abitanti. Proprio nelle ultime settimane ha sollevato fortissime polemiche il rinnovato tentativo, da parte del centrodestra, di cambiare il sistema a doppio turno in vigore
nelle città, uniformandolo a quello più o meno utilizzato da tutte le Regioni. Che, in soldoni, significa favorire le coalizioni che si presentano da subito maggiormente coese, prevedendo il ballottaggio solo nei casi in cui nessun candidato superi il 40 per cento. Ora, anche se il caso di Genova potrebbe dire il contrario poiché entrambi le coalizioni si erano presentate in formato unitario, con a sinistra addirittura il “Campo larghissimo” e la vincitrice Silvia Salis ha superato la metà dei consensi totali, il complesso dei risultati dice ancora una volta che il sistema a turno unico, in presenza di una costante tendenza all'astensionismo, alla lunga favorisce il centrodestra. Il motivo è che l'assetto “alla genovese” dei partiti di centrosinistra rappresenta attualmente un'eccezione, a meno che nella fase restante della legislatura questi riescano a superare divisioni che appaiono però insormontabili, come ad esempio quelle tra i centristi Iv e Azione, e il M5s, immediatamente riemerse sulla questione della manifestazione pro- Gaza.
Ma se si parla di legge nazionale, allora, la questione è più complessa perché il conflitto è anche interno alla maggioranza, dove la Lega guarda con grande sospetto ai movimenti della premier su questo terreno. La suggestione di introdurre un proporzionale con premio di maggioranza, abolendo i collegi maggioritari, a via Bellerio è vista come fumo negli occhi, perché disarmerebbe i leghisti di rilievo negoziale nelle trattative per le candidature sul territorio. Basti pensare che grazie ai collegi uninominali il Carroccio, pur avendo preso una percentuale di voti simile a quella di FI, conta un numero di parlamentari nettamente maggiori (94 contro 70).
Finora, ogni volta che i rumors sul progetto della premier di promuovere un sistema di questo tipo sono approdati sui giornali, non sono mancati esponenti leghisti che hanno manifestato la propria contrarietà. È plausibile, dunque, che la ministra Casellati si sia rivolta in questo modo alle opposizioni, ben sapendo che la forza politica da prendere con le molle, in questo caso, siede sui banchi della maggioranza.