Il dibattito sulla violenza contro le donne torna al centro dell’agenda politica in un momento segnato da numeri drammatici e da un’emergenza ormai riconosciuta su scala globale. Alla Conferenza internazionale sul femminicidio, in corso a Roma, la ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità Eugenia Roccella ha rivendicato la linea adottata dall’esecutivo, parlando di un impegno «mai così forte» nella lotta a quella che definisce «una piaga sociale che tocca le coscienze e interpella le responsabilità di ciascuno».

Roccella ha ricordato che l’Italia è «tra i primi Paesi ad aver tipizzato il reato di femminicidio», giudizio ribadito anche a margine del convegno per la Giornata mondiale dell’infanzia. Il governo - ha sottolineato - «ha destinato risorse ai centri antiviolenza, alle case rifugio e ai progetti di prevenzione», con l’obiettivo di creare un sistema di protezione più solido e capillare. Ogni voto unanime in Parlamento, ha detto, «è un segnale di sollievo e civiltà», pur ricordando che «ogni donna uccisa è una donna di troppo».

Il passaggio più politico della ministra riguarda la discussione sull’eventuale introduzione dell’educazione affettiva nelle scuole. Roccella invita alla prudenza, sostenendo che «nei Paesi dove è già consolidata non si registra automaticamente un calo dei femminicidi», e invita a distinguere tra scelte culturali e correlazioni dimostrabili.

La ministra ha poi ripercorso i contenuti del disegno di legge approvato dal governo lo scorso marzo, che introduce nel codice penale una fattispecie autonoma di femminicidio. La norma, ora in Parlamento, prevede l’ergastolo per chi uccide una donna «per odio, discriminazione, controllo, possesso» o come reazione al rifiuto di instaurare o proseguire una relazione. Una definizione pensata per riconoscere la natura specifica dell’omicidio di genere. «Non è un delitto come gli altri - ha affermato Roccella - perché alla base c’è la negazione del diritto stesso di esistere in quanto donna». La legge, secondo il governo, non si limita a punire, ma mira a «cambiare la consapevolezza collettiva» e spezzare «un sistema culturale che ancora considera molte donne inferiori o possedibili».

Alla Conferenza è intervenuto anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ha insistito sul ruolo dell’educazione come fondamento della prevenzione: «Serve l’esempio in famiglia prima ancora delle parole», ha detto. Per Nordio, le norme penali restano necessarie, ma non bastano se non si interviene sulla radice culturale della violenza. Il ministro ha evocato «una sedimentazione millenaria di superiorità maschile» che deve essere rimossa attraverso un lavoro educativo profondo e continuo.