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Dimenticatevi la bagarre. La scontro sull’educazione sessuale che aveva incendiato l’Aula appena una settimana fa è già un lontano ricordo, ora che a Montecitorio torna il sereno. Di più: una parentesi d’idillio tra tutte le forze politiche, che oggi hanno votato all’unanimità, con 227 voti a favore, la proposta di legge che riforma il reato di violenza sessuale.
Ora la parola passerà al Senato per il via libera definitivo. Ma il grosso del lavoro è già fatto, come certifica il lungo applauso che si è sollevato dai banchi della maggioranza e dell’opposizione. Dopo le parole dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini, che per prima ha proposto la legge. E quelle di Carolina Varchi, che l’ha “ereditata” come relatrice di Fratelli d’Italia insieme alla dem Michela Di Biase. Loro l’accoro bipartisan raggiunto in commissione Giustizia, che una settimana fa aveva approvato all’unanimità il testo licenziato alla Camera dopo i colloqui diretti tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Con una telefonata decisiva tra le due leader, si racconta, che aveva dato il via libera alla riforma che introduce anche in Italia il principio del consenso “libero e attuale”.
Il testo approvato sostituisce per intero l’articolo 609-bis del codice penale, che attualmente fonda la definizione di stupro sulla costrizione tramite violenza, minaccia o abuso di autorità. Tali condotte restano invariate, ma il paradigma ora si rovescia, introducendo il consenso come elemento principale della fattispecie, che prevede pene da sei a dodici anni di carcere.
Il modello è già consolidato in ventuno Paesi europei, da ultimo con la legge approvata in Francia. Perché lo richiede la Convenzione di Istanbul, ratificata dal Parlamento italiano nel 2013. Da allora si è cercato di allineare anche il nostro Paese alla nuova concezione di violenza, che “rompe” con l’idea di una forza fisica invincibile per contemplare le condizioni di “paralisi” o terrore in cui si può trovare la vittima. La Cassazione aveva già ampliato il campo, anticipando in qualche modo il legislatore. Ma il principio del consenso ora è messo nero su bianco, e non senza qualche voce critica, nel mondo dei giuristi, per l’impatto che la riforma potrà avere sul processo penale e le garanzie difensive.
Ne ha dato conto, nel suo intervento in Aula, anche Carolina Varchi. Per la quale «questa riforma ha la pretesa di eliminare dal campo la confusione, perché su un reato così delicato, che genera un allarme sociale, non ci può essere un dubbio interpretativo e non ci può essere una esagerata discrezionalità». «Il consenso deve essere libero, attuale ed effettivo: non simulato, non viziato e sempre contestuale alla condotta. È una riforma ormai indispensabile per tutelare davvero la libera autodeterminazione della persona», ha aggiunto l’esponente di FdI. Che ha chiarito: «Seguiamo l’evoluzione dei comportamenti sessuali mettendo al centro la libertà della persona. Vogliamo evitare sentenze difficilmente comprensibili che nel passato hanno dato la sensazione di lasciare impunite le violenze sessuali». A partire dalla più famosa, la cosiddetta “sentenza sui Jeans” (Cassazione penale, 10 febbraio 1999, n. 1636). Ma anche le più recenti, da Busto Arsizio a Macerata, che hanno sollevato un acceso dibattito per la tendenza, nei casi di stupro, a porre la donna sul banco degli imputati.
«Oggi diciamo basta. Basta alle sentenze nei casi di stupro in cui l’accusato viene assolto perché lei “doveva sapere cosa aspettarsi”, perché lei aveva già avuto rapporti e quindi era “in condizione di immaginarsi i possibili sviluppi della situazione”. Basta a “se manca il dissenso non c’è violenza”», ha scandito Boldrini. Per la quale alcune delle obiezioni di chi paventa una eccessiva burocratizzazione dei rapporti sessuali (“dovremo compilare dei moduli prima di metterci a letto?”) rientrano in una «becera campagna di fake news».
«L’unica cosa che serve è un sì. Un sì libero ed esplicito», ha chiosato l’esponente dem. A cui si aggiungono le parole della relatrice del Pd, Di Biase, per la quale la riforma rappresenta «una rivoluzione culturale, prima ancora che giuridica». Di «piccola grande rivoluzione» parla anche la segreteria dem Schlein, che intercettata dai cronisti in Transatlantico si dice «felicissima». Ma l’entusiasmo è condiviso anche dalle esponenti del centrodestra, come la senatrice e vice presidente del Senato Licia Ronzulli. E Deborah Bergamini, vicesegretario nazionale di Forza Italia, per la quale «l’approvazione del provvedimento che rafforza la tutela delle vittime di violenza sessuale rappresenta un passo avanti di grande civiltà».


