A mettere in fila gli eventi e le scadenze politiche, è evidente il filo che unisce il caso Garofani e la relativa irritazione del Quirinale con annessa visita lampo di Meloni al Colle e la tensione che attraversa il centrodestra: non è solo una questione di parole dette in un bar, ma la prova generale di ciò che potrebbe accadere nei prossimi mesi. Perché la stagione politica che si apre porta con sé almeno tre dossier nei quali il Quirinale, semplicemente esercitando le sue prerogative, potrebbe guastare la coreografia pensata a Palazzo Chigi. E la sensibilità crescente della maggioranza verso qualsiasi segnale proveniente dal Colle racconta molto più di quanto appare.

La ricostruzione pubblicata da La Verità ha acceso la miccia. L’idea – attribuita al consigliere Garofani – di un ipotetico “scossone” - parola peraltro mai pronunciata dal diretto interessato - o di una “lista civica nazionale” anti- centrodestra ha fatto infuriare FdI non tanto per il contenuto, quanto per il timore che certi discorsi possano apparire come un’intrusione nel terreno più sensibile: quello del sistema di voto. La premier lo sa, lo teme e agisce di conseguenza. Ma rispetto alle impressioni a caldo, la posta in gioco appare più larga. Si è parlato delle ansie della maggioranza rispetto alla possibilità che dal Colle possa arrivare un altolà su una nuova legge elettorale, se questa arrivasse troppo a ridosso delle prossime Politiche. Ma c'è anche, ad esempio, il fronte dell’autonomia differenziata.

Dopo la sentenza della Consulta che ha smontato l’impianto della legge Calderoli, il governo si è convinto che il nuovo testo debba essere blindato. Ma al Quirinale nessuno fa mistero che il controllo di costituzionalità preventiva – ufficiosa ma non meno incisiva – sarà rigoroso. Una seconda bocciatura sarebbe politicamente devastante per Salvini, già in apnea elettorale, e lo “scossone” al governo (dove di certo la premier farebbe a meno del testo Calderoli) potrebbe arrivare dall'interno. Eppure proprio questa prospettiva, evocata in numerosi retroscena, alimenta la sensazione nel centrodestra che il Colle possa chiedere un passo indietro se il modello di autonomia dovesse comprimere l’unità nazionale o forzare l’articolo 5. È un ruolo pienamente nei poteri presidenziali, ma che la maggioranza potrebbe vivere come un ostacolo.

Un altro punto riguarda il riarmo e la linea sull’Ucraina. Qui il solco tra Mattarella e un pezzo consistente della maggioranza è evidente. Il Quirinale, in perfetta consonanza col ministro della Difesa Crosetto, insiste sulla continuità dell’impegno militare e politico a sostegno di Kiev. Dall’altra parte, la Lega assottiglia le sfumature e punta apertamente a un ridimensionamento dell’aiuto militare, nella speranza di intercettare l’elettorato più provato dalla guerra. Ma il nodo vero è un altro: in ambienti governativi c’è chi teme che, su questo dossier, Mattarella possa intervenire con maggiore peso morale proprio perché si tratta di scelte strategiche e non contingenti. Insomma, il Quirinale come ancora atlantica in un centrodestra che non sempre marcia compatto.

Terzo capitolo: il referendum costituzionale sulla giustizia. A Palazzo Chigi qualcuno sospetta – sbagliando – che il Presidente possa essere meno neutrale di quanto prometta la sua storia istituzionale. È un timore più percepito che reale, nato all’interno dell’inner circle della premier e alimentato da quel riflesso di difesa che accompagna tutte le partite ad alto rischio politico. Il Colle osserva con distacco, ma l’ansia meloniana aumenta man mano che il governo da una parte e la magistratura organizzata dall'altra trasformano il referendum in un banco di prova identitario.

Dentro questo clima, l’affaire Garofani è diventato la perfetta valvola di sfogo. Come se una frase riportata in un retroscena aprisse improvvisamente la porta a un sospetto più vasto: che il Quirinale possa condizionare la fine della legislatura più di quanto immaginato. Da qui la reazione scomposta, il pressing su Bignami perché chiedesse una smentita, la visita- lampo di Meloni al Colle con tanto di nota per ribadire la sintonia istituzionale. Un eccesso di zelo, appunto. Ma rivelatore. Perché il punto non è Garofani. Il punto è che il centrodestra percepisce il Quirinale non come antagonista, ma come variabile decisiva in una fase in cui ogni dossier rischia di diventare un inciampo. E che la premier, da qui alla fine della legislatura, dovrà muoversi sapendo che basta poco – un rilievo formale, un richiamo alla Costituzione, una moral suasion – per alterare l’equilibrio politico. Mattarella non ha alcuna intenzione di invadere campi altrui. Ma il solo fatto che qualcuno, tra i meloniani, creda che possa farlo dice molto dell’aria che tira a Palazzo Chigi.