Non si può dire che Elly Schlein e neppure il resto del suo gruppo dirigente si siano scaldati troppo per difendere Mattarella dagli attacchi di FdI. Lo hanno fatto, per carità, anche ieri hanno ribadito che l’imparzialità del Presidente è fuori discussione.

Ma basta il paragone con una delle innumerevoli occasioni nelle quali la leader del Pd ha strillato allo strangolamento della democrazia e alla gravità senza precedenti del caso di turno per scoprire che stavolta, pur a fronte del primo vero incidente istituzionale tra il Colle e palazzo Chigi, Elly e i suoi hanno scelto toni insolitamente discreti. È un fatto, una notizia in sé e anche un segnale rilevante.

Il Pd è sempre stato, in un certo senso, “il partito del Colle”, schierato sempre e comunque con la massima forza disponibile a difesa del Quirinale e anche, in numerose occasioni, disposto a sacrifici importanti pur di obbedire all’inquilino del Quirinale di turno. Per la prima volta le cose stanno diversamente. I rapporti tra il Nazareno e il Colle sono peggio che gelidi: sono inesistenti. Il nuovo gruppo dirigente non ama Sergio Mattarella.

Il Presidente non apprezza la leadership del Pd arrivata alla guida del partito due e anni e mezzo fa, e ancor meno la apprezzano i suoi collaboratori. Nel wishful thinking poco cautamente e poco correttamente illustrato dal consigliere Garofani a una tavolata di 18 persone sulla Terrazza Borromini in piazza Navona, location di super lusso, l’obiettivo finale era certamente la premier. La prima vittima però doveva essere Schlein. Garofani, che non è un ventriloquo del capo dello Stato ma neppure l’ultimo arrivato, dimostra di considerare inadeguata l’attuale leader del principale partito d’opposizione e fallimentare la sua linea politica. Parole in libertà? Chiacchierata tra amici romanisti? Certamente no. Le grandi manovre dei centristi ex Dc sono in corso da tempo, l’opinione di alcuni di loro a volte anche molto vicini al capo dello Stato, come Pierluigi Castagnetti, Luigi Zanda e Romano Prodi, sono note e sbandierate.

Il tentativo di scommettere sull’ex capo dell'Agenzia delle entrate Ruffini non è un mistero anche se è misterioso come politici dotati di acume ed esperienza possano aver immaginato un’opzione così disastrosa. Insomma, la prima bambolina voodoo che Garofani e certo non da solo punzecchia con i suoi spilli stregati è quella di Schlein, il feticcio di Meloni ha da essere infilzato in un secondo tempo. Si può capire perché la segretaria non si sia affannata troppo a difendere il Consigliere e neppure il suo alto datore di lavoro.

Però raccontarsi che i dubbi dell’area a cui Garofani ha dato improvvidamente voce sia preoccupata solo per le scarse chances di vittoria elettorale con Schlein al timone vorrebbe dire non cogliere la portata reale della frattura tra quell’area e il Nazareno e anche, anzi a maggior ragione, tra il Quirinale e il Pd. In ballo c’è molto di più, c’è la guerra in Ucraina.

In questa vicenda lo sfondo russo- ucraino fa capolino da tutte le parti. Il gelo tra Mattarella e la leadership del Pd e l’ostilità nei confronti di Elly dell’intera area euroatlantista del centrosinistra dipendono dallo scarsissimo trasporto del “nuovo” Nazareno nel sostenere Kiev e dal suo no al riarmo. Mattarella diffida certamente anche di Giorgia Meloni, almeno da quando il presidente degli Usa si chiama Donald Trump.

Teme che la premier miri a sganciarsi dall'asse europeo filoucraina e proprio su questa mai dichiarata divisione sotto pelle erano montate le tensioni intorno all'ultimo Consiglio supremo di difesa, risoltesi con il pieno successo della linea voluta da Mattarella, che del fronte filoucraino è in Italia il massimo esponente. Tuttavia, pur non più considerata pienamente affidabile, Giorgia è ancora la leader che più garantisce l’ancoraggio dell’Italia alla linea europea e a Kiev. Per questo, nonostante la ferita provocata dall’incidente dei giorni scorsi non si sia rimarginata e forse non sia rimarginabile, Mattarella non modificherà il suo atteggiamento, sostanzialmente di copertura sia pur spesso critica, nei confronti del governo. Meloni sa tenere a bada Salvini, Schlein non è in grado di fare la medesima cosa con Conte anche perché forse lei stessa non la pensa troppo diversamente dal capo dei 5S.

La stessa vicenda della conversazione origliata e poi fatta pervenire ad alcune testate con una misteriosa mail appare un po’ troppo curata e strutturata per provenire solo da un avventore finito per caso vicino al tavolo dove Garofani concionava.

Forse i molti che al Quirinale sospettano una manovra filorussa, e dunque tesa ad azzoppare il principale punto di riferimento antiputiniano in Italia, non sono troppo lontani dalla realtà.