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«Questa non è giustizia» ha detto comprensibilmente, dal suo punto di vista, la madre del piccolo Tommaso Onofri commentando la scarcerazione di Salvatore Raimondi, l'uomo che, insieme a Mario Alessi, rapì il piccolo la sera del 2 marzo 2006 a Parma. «Usciranno anche gli altri, io resterò all’ergastolo» ha proseguito la donna che quella tragica notte perse suo figlio per sempre. Com’è noto, e come ribadito anche nell’intervista di ieri a La Stampa dalla procuratrice del Piemonte Lucia Musti, il desiderio di “giustizia” delle vittime di reati non combacia con le regole dello Stato di diritto.
Nelle aule di tribunale non vige la legge del taglione e la giustizia si amministra «in nome del popolo italiano» e non delle vittime. Le quali però, grazie anche a direttive europee, come la 29/ 2012, e alla normativa interna, come il “codice rosso”, hanno visto ampliare diritti e garanzie. Ma sembra non bastare: oggi sempre più si costruiscono nuove vittime dietro nuovi reati, così rafforzando il paradigma vittimario.
Quest’ultimo divide i giuristi ma compatta la politica. Infatti, nonostante una già consolidata «curvatura victim- oriented» - come la definisce il professor avvocato Vittorio Manes – del processo penale, ciò non ha fermato nei mesi precedenti maggioranza ed opposizione unite ( con astensione di Ivan Scalfarotto di Italia Viva) dall’approvare il disegno di legge costituzionale di modifica dell’articolo 24 della Costituzione in materia di tutela delle vittime di reato.
Il testo, passato lo scorso gennaio al Senato con 149 sì e un solo astenuto, è sbarcato nella commissione Affari costituzionali della Camera il 24 luglio. La proposta si compone di un unico articolo, ai sensi del quale, all’art. 24 Cost., dopo il secondo comma è inserito il seguente: «La Repubblica tutela le vittime di reato».
Occorreranno ora altri tre voti per il placet definitivo. Inizialmente, il primo testo approvato nella commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama prevedeva modifiche all'articolo 111 della Carta Costituzionale.
Poi nella commissione Giustizia si sono resi conti che l’inserimento della modifica all’interno dell’articolo 111 ossia quello del giusto processo «avrebbe alterato il rapporto tra il pubblico ministero e la difesa e a nostro avviso sarebbe stato molto pericoloso per gli effetti che avrebbe potuto provocare all'interno del processo», disse l’azzurro Pierantonio Zanettin.
Dopo un ciclo di audizioni si è deciso di inserire la norma non più nell’art. 111 ma nell’art. 24 della Costituzione che, oltre a sancire il diritto di difesa, indica coloro che possono agire in giudizio, ritenendo che fosse la sede più adatta a recepire questa modifica. Come si legge nel dossier elaborato dal centro studi della Camera, «nel corso dell'esame presso il Senato si è optato per una formulazione della disposizione che menzioni esclusivamente la tutela delle vittime del reato, senza riferimento a distinzione tra persona “vittima”, persona “offesa”, persona “danneggiata”. Si è inteso, dunque, anche sulla scorta dell'evoluzione normativa europea, che la prima dicitura, più ampia, sia comprensiva di ulteriori specificazioni». Si è così profilata «una dimensione della tutela non esclusivamente racchiusa entro il perimetro del processo penale o civile, onde coprire un maggior ventaglio di fattispecie e contenuti».
Vedremo quello che accadrà nei prossimi mesi. Certo, questa non rappresenta una priorità per il legislatore ma considerato che è stata raggiunta l’intesa non si esclude che la modifica costituzionale possa andare definitivamente in porto.