La lotta alle frodi sui fondi europei continua a mostrare crepe profonde e strutturali. A certificarlo è una nuova relazione della Corte dei conti europea, che accende un faro critico sull’inefficacia dello scambio di informazioni tra gli organismi antifrode dell’Unione e sulla difficoltà di garantire un recupero completo delle risorse sottratte al bilancio Ue.

Secondo i giudici contabili, le debolezze del sistema incidono direttamente sul numero e sulla tempestività delle indagini, sulla capacità di supervisione dell’esecutivo europeo e sul ruolo stesso della Commissione nel tutelare gli interessi finanziari comuni. Un quadro che diventa ancora più preoccupante se si considera che, nonostante i milioni recuperati, Bruxelles non è in grado di sapere se tutte le somme dovute vengano effettivamente restituite.

Nel mirino finiscono i meccanismi di coordinamento tra l’Ufficio europeo per la lotta antifrode e la Procura europea, i due pilastri dell’architettura antifrode Ue. Il primo si occupa delle indagini amministrative, il secondo di quelle penali, con il supporto di Eurojust, Europol e delle autorità nazionali. Un sistema che sulla carta appare solido, ma che nei fatti soffre di procedure complesse e farraginose.

«Una cooperazione efficace tra tutti coloro che sono impegnati nella lotta alle frodi, dagli investigatori dell'Ue fino alle forze di polizia e alle autorità giudiziarie nazionali, è cruciale per tenere in scacco gli autori delle frodi», ha sottolineato Katarina Kaszasova, membro della Corte responsabile dell’audit, mettendo in evidenza uno dei nodi centrali del problema.

La relazione parla chiaro anche sui numeri. Tra il 2002 e il 2024, Olaf ed Eppo hanno ricevuto 27.000 accuse di frode, ma solo un terzo è stato ritenuto meritevole di indagine. Gli organismi Ue segnalano all’Olaf tre volte più casi rispetto a quelli trasmessi all’Eppo e, in diversi Stati membri, esiste un divario significativo tra la quota di fondi gestiti e il numero di frodi denunciate. Un’anomalia che la Corte invita la Commissione ad analizzare per individuare eventuali fenomeni di sottosegnalazione.

Sul fronte dei recuperi, il bilancio resta amaro. A seguito delle indagini, l’Olaf ha raccomandato la restituzione di 615 milioni di euro, ma a fine 2024 ne risultavano rientrati appena 23 milioni. Nello stesso periodo, l’Eppo ha congelato beni per 3 miliardi di euro, mentre i tribunali nazionali hanno ordinato il recupero di 232 milioni di proventi illeciti. Tuttavia, la Commissione europea non dispone di un meccanismo per verificare se queste somme siano state davvero recuperate nella loro interezza.

Per la Corte dei conti europea, il riesame in corso dell’architettura antifrode rappresenta «un’occasione d’oro» per intervenire. La raccomandazione è netta: semplificare le procedure, migliorare lo scambio di informazioni e rafforzare la supervisione politica sul seguito delle indagini. Senza una riforma incisiva, il rischio è che le frodi continuino a sottrarre risorse preziose, lasciando l’Unione senza strumenti efficaci per difendere i propri fondi.