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Marco Cappato, Mina Welby, Filomena Gallo e i membri dell’ associazione Luca Coscioni depositano in Cassazione la proposta di legge d’iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia, Roma, Giovedì 5 Giugno 2025 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Members of the Luca Coscioni association deliver to the Supreme Court a popular initiative bill for the legalization of euthanasia, Rome, Thursday, June 5, 2025 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
Daniele Pieroni è morto come voleva: a casa sua, circondato dagli affetti più cari. È il primo a riuscirsi in Toscana, il primo ad accedere al suicidio assistito dopo l’approvazione della legge regionale sul fine vita entrata in vigore lo scorso marzo e già impugnata dal governo. Il suo caso ne dimostra gli effetti, in termini di procedure e tempi certi: il 31 agosto aveva inviato richiesta formale all’Asl, il 22 aprile ha ricevuto esito positivo, dopo la verifica delle condizioni previste dalla Corte Costituzionale, e un mese dopo ha confermato la volontà di precedere. Il farmaco letale è stato preparato nella sua abitazione di Chiusi, in provincia di Siena. Il 17 maggio, alle ore 16.47, si è autosomministrato la sostanza, attivando con le proprie mani il dispositivo a doppia pompa infusiva. Tre minuti più tardi, alle 16.50, Daniele ha smesso di respirare.
«Il tutto si è svolto nel pieno rispetto della procedura prevista dalla legge toscana e delle condizioni stabilite dalla Consulta», spiega l’Associazione Luca Coscioni, che ne ha dato notizia. Scrittore e giornalista, 64 anni, malato di Parkinson dal 2008, Daniele si era rivolto a Marco Cappato nell’agosto del 2023. Da anni era costretto a vivere con una Peg (gastrostomia endoscopica percutanea) in funzione per 21 ore al giorno. E voleva scegliere come andarsene. L’Associazione lo ha accompagnato in tutto il percorso, fornendogli informazioni sulle disposizioni anticipate di trattamento, sulla sedazione palliativa e sul distacco dei trattamenti vitali.
Alla fine, Daniele ha scelto la strada “aperta” dalla Consulta con la sentenza 242 del 2019, quella sul caso di Dj Fabo, che ha in parte legalizzato il suicidio assistito in presenza di quattro requisiti: che la richiesta arrivi da un malato affetto da una patologia irreversibile, che sia capace di autodeterminarsi, che reputi le proprie sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Daniele Pieroni li soddisfaceva tutti, come appurato dall’azienda sanitaria. «È importante che la legge abbia funzionato e che l’Asl abbia rispettato i tempi con serietà e rispetto», commenta Felicetta Maltese, coordinatrice della cellula toscana della Coscioni. C’era anche lei, accanto a Daniele, insieme ai familiari, due dottoresse e un medico legale dell’Asl. Questi ultimi presenti su base volontaria, spiega l’Associazione, che ne sottolinea la «grande umanità e professionalità».
Fin qui la storia privata, il gesto individuale che ora diventa atto pubblico. Perché la stessa legge che ha garantito un diritto a Daniele, la prima a livello regionale, ora rischia di tornare nel cassetto. Il governo rivendica la competenza sul tema, mentre la maggioranza lavora a un testo che dovrebbe arrivare in Aula al Senato il prossimo 17 luglio. Lo sprint è arrivato giusto ieri, con la cabina di regia convocata a Palazzo Chigi che ha dato la linea: il suicidio non è un diritto, dice il centrodestra, che insiste sulle cure palliative. Ma una legge si farà, secondo le indicazioni della Consulta, assicurano i leader di maggioranza.
La stessa Corte affida un ruolo al Servizio sanitario nazionale, che invece Fratelli d’Italia vorrebbe escludere del tutto dai percorsi di fine vita. Forse con un comitato etico nazionale nominato tramite un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che dovrebbe gestire le richieste. Questa sarebbe l’idea, l’ultima in ordine di tempo per superare il “nodo” sul quale la maggioranza non trova la sintesi. A tirare le fila ci dovranno pensare i due relatori al Senato, Pierantonio Zanettin di Forza Italia e Ignazio Zullo di FdI, che martedì prossimo potrebbero portare un testo sul tavolo del Comitato ristretto di Palazzo Madama dopo mesi di fumate nere.
Forse questa è la volta buona. Ma intanto il governatore dem della Toscana, Eugenio Giani, ricorda che c’era (e resta) un «vuoto da colmare»: quanto avvenuto «dimostra quanto sia vano il tentativo di dichiarare la nostra legge incostituzionale» perché la norma regionale fissa «una modalità organizzativa e operativa per dare a tutti le stesse condizioni» per accedere al fine vita «secondo la propria volontà che, in certe condizioni, porta a una scelta dolorosa ma chiaramente autodeterminata», dice il presidente della Regione.
Il tutto mentre Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, lancia un messaggio al governo: «Il fine vita non è problema giuridico, ma un tema delicato di cui non possono occuparsi gli avvocati. Coinvolge in maniera diretta la professione medica, riguarda la sofferenza e la dignità delle persone. Teniamo conto che la Corte costituzionale aveva già previsto che fosse coinvolto il Servizio sanitario nazionale. Io credo che questo Comitato etico nazionale dovrebbe essere gestito dal ministero della Salute che deve essere coinvolto. I medici hanno tutta una serie di competenze necessarie per affrontare nel modo migliore il tema del fine vita. Poi se si è deciso che se ne devono occupare gli avvocati...».