Il testo che non c’è sul fine vita galleggia ancora nel mare increspato del Comitato ristretto al Senato. Dove si procede per piccoli passi, una fumata nera dietro l’altra, alla ricerca di un punto di partenza, prima che di un approdo. L’obiettivo dichiarato dalla maggioranza è arrivare in Aula il 17 luglio con un disegno di legge “condiviso”. Ma il tempo stringe, e un accordo, di fatto, è lontano: sia con le opposizioni, sia dentro il centrodestra. Ovvero tra i due relatori della legge, Pierantonio Zanettin di Forza Italia e Ignazio Zullo di Fratelli d’Italia.

Ancora oggi, la riunione a Palazzo Madama si è conclusa con un nulla di fatto, tra le proteste del dem Alfredo Bazoli, che ha abbandonato in anticipo il Comitato delle commissioni Affari sociali e Giustizia lamentando l’ennesima «finta» discussione a vuoto. «È un teatrino», dice il senatore del Pd raggiunto al telefono. Un modo per tergiversare e «nascondere l’incapacità del centrodestra di prendere una direzione di marcia chiara». Come dimostrerebbe anche il fatto che all’incontro era presente un solo esponente della maggioranza, Erika Stefani della Lega. Oltre ai relatori e al presidente della decima commissione, il meloniano Francesco Zaffini. Segno della «trascuratezza» con cui il centrodestra affronta il tema, commenta Bazoli, che parla di «vergogna infinita e senza confini».

Questo non vuol dire che non si presenterà alla nuova riunione in programma per la prossima settimana: l’ultima chance, forse, per un testo base dopo cinque mesi di stallo. Gli unici punti fermi, discussi anche oggi, sono gli stessi dello scorso marzo, quando sul tavolo è arrivata la bozza composta da due articoli: il primo ribadisce che il diritto alla vita è inviolabile e indisponibile, l’altro aggiunge un percorso di cure palliative come requisito di accesso al suicidio assistito

Resta l’obiezione di chi teme che tali cure non potranno essere garantite nello stesso modo a tutti i pazienti e in tutta Italia e che non possano essere un trattamento obbligatorio. Ma soprattutto c’è il tema posto da Fratelli d’Italia, che vorrebbe escludere il coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale dai percorsi di fine vita. In che modo? Con l’escamotage filtrato oggi: un’ipotesi di “mediazione” che affiderebbe al giudice tutelare la decisione caso per caso, una volta acquisito il parere del comitato medico-scientifico.

«Aprire il fine vita al tema dell’obiezione di coscienza è un tema veramente complicato, come abbiamo visto già la 194, apre scenari non appetibili, non democratici, non civili. Uno non è che deve fare il turismo della morte», dice Zaffini a margine della riunione. «Bisogna trovare una via diversa». Una di queste potrebbe essere la possibilità posta sul tavolo da Ignazio Zullo, che interpellato dal Dubbio spiega in che termini dovrebbe intervenire il giudice tutelare. «Si poneva la questione - dice il senatore di FdI -, se non fosse prudente che a fornire l’aiuto al suicidio possa essere anche una persona laica»: un familiare, ad esempio, ma non un medico. Il giudice subentrerebbe quando ciò non è possibile, «per impegnare professionalità mediche o sanitarie». Ad ogni modo si tratta «di un ragionamento, non di una decisione», precisa Zullo. Il quale nega che il centrodestra voglia bloccare la legge: «Si sta lavorando - dice -, altrimenti non avremmo lavorato».

Quello sul Ssn resta comunque un rebus complicato: il rischio è di privatizzare l’accesso al fine vita, pagando un medico perché fornisca l’aiuto a morire. Come sottolinea anche Bazoli, autore del testo sul fine vita naufragato nella scorsa legislatura dopo la caduta del governo, per il quale l’idea di affidare la decisione a un giudice sarebbe un «errore di grammatica»: la legge ha senso se delega a un organo competente la supervisione - argomenta il dem -, diversamente non avremmo alcuna garanzia e uniformità di trattamento. Senza considerare che è la Corte Costituzionale, con la sentenza 242 del 2019 sul caso Cappato/Dj Fabo (che ha in parte legalizzato l’accesso al suicidio assistito) a prevedere il ruolo del servizio sanitario nazionale.

Nel campo delle opposizioni, a parlare di «ennesimo teatrino della destra sulla pelle dei malati» è anche il senatore di Alleanza Verdi e Sinistra Tino Magni. Mentre la senatrice del M5S Mariolina Castellone ribadisce che da parte del Movimento «c’è tutta la disponibilità a lavorare insieme per dare una legge sul fine vita al Paese». «Sui nodi oggetto di discussione la nostra posizione è chiara: il percorso del fine vita deve essere gestito nel Servizio sanitario nazionale e non si può inserire l’obbligo di trattamento in percorsi di cure palliative. La maggioranza non trovi alibi», dice l’esponente pentastellata.

Come evolverà la discussione lo scopriremo presto. Ma a muoversi non c’è soltanto il Parlamento. In attesa che la Consulta decida sulla legge della Regione Toscana impugnata dal governo, giovedì l’Associazione Luca Coscioni depositerà presso la Corte di Cassazione la proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia sul modello di Olanda, Belgio, Lussemburgo e Spagna. Si chiamano a raccolta i cittadini, come pensa di fare anche Macron in Francia con un referendum.

Il tutto mentre la questione, in Italia, resta in mano ai tribunali: proprio domani, a Firenze, si aprirà dinanzi al gup il processo nei confronti di Marco Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese dell’Associazione Coscioni per aver accompagnato Massimiliano in Svizzera nel 2022. Una disobbedienza civile per la quale rischiano da 5 a 12 anni di carcere