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CARLO NORDIO, MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
«Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione», scriveva James Russell Lowell. Vale anche per i ministri della Giustizia, o dobbiamo pretendere che restino inchiodati alle loro convinzioni di trent’anni fa, come fossimo ancora nell’epoca del gettone del telefono?
L’Associazione nazionale magistrati ha deciso che il miglior argomento contro la riforma della separazione delle carriere è… Carlo Nordio stesso. O meglio: un Carlo Nordio d’epoca, datato 3 maggio 1994, quando l’allora pm di Venezia sottoscrisse un documento del 1992 che diceva chiaro e tondo: «Noi magistrati del pubblico ministero, in relazione alle proposte in discussione in ordine alla separazione tra magistratura giudicante e requirente, nel rispetto delle prerogative del Parlamento, massima espressione della sovranità popolare, avvertiamo tuttavia il dovere di esprimere con chiarezza di fronte ai cittadini l’opinione maturata sulla base della nostra esperienza professionale. Nella storia dell’Italia repubblicana l’indipendenza del pm rispetto all’esecutivo e l’unicità della magistratura ha rappresentato in concreto una garanzia per l’affermazione della legalità e la tutela del principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. La possibilità per i magistrati di passare dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa si è di fatto rivelata un’occasione di arricchimento professionale ed ha consentito al pm italiano di mantenersi radicato nella cultura della giurisdizione». Il documento concludeva così: «Il nostro impegno potrà continuare a svolgersi nelle attuali funzioni solo se sarà ancora riconosciuta nella struttura ordinamentale al pm la funzione di effettiva difesa della legalità». Nel 1994 gli stessi magistrati, Nordio incluso, ribadirono la «permanente validità» di quelle ragioni.
Oggi quel documento viene sventolato come prova regina: guardate, gridano i magistrati, Nordio ha cambiato idea! E allora? Possiamo scandalizzarci del fatto che uno abbia maturato, dopo trent’anni, una posizione diversa? O forse, come ricordava Lowell, dovremmo preoccuparci di chi non cambia mai opinione? Per giustificare il ripensamento, Nordio al Tg1 ha raccontato un episodio personale: «Ci fu un suicidio di un mio ex indagato che mi ha fatto cambiare idea. Si chiamava Mazzolaio. Mi resi conto che stavamo esagerando: le carcerazioni non erano sempre necessarie e opportune». Gino Mazzolaio, segretario amministrativo della Dc di Rovigo, si tolse la vita nell’aprile 1993 durante l’inchiesta sugli appalti della sanità veneta, lasciando scritto: «Carissimi, non so più resistere a quanto sta succedendo, pur essendo completamente innocente. Vi chiedo scusa per il gesto che sto per compiere. Pregherò per voi di lassù». Un dramma umano enorme, che avrebbe spinto Nordio – dice lui – a rivedere la sua concezione del ruolo del pm e della carcerazione preventiva. Peccato che i tempi non coincidano: Mazzolaio morì un anno prima che Nordio firmasse il documento del ’ 94 in cui si diceva contrario alla separazione delle carriere. Lo ha fatto notare Repubblica,insinuando che la “folgorazione sulla via di Damasco” sia arrivata, diciamo così, postuma. E anche se fosse? Davvero vogliamo ridurre il dibattito a un esercizio di filologia sulle date? Davvero l’Anm pensa che il nodo della riforma sia stabilire se Nordio abbia cambiato idea nel ’ 93, nel ’ 94 o nel ’ 95?
Tra i firmatari di quel documento del ’ 94 c’era anche Antonio Di Pietro, che oggi è tra i sostenitori della separazione delle carriere: «Non è una dipietrata, io lo dico tenendo ben presente gli articoli 104 e 111 della Costituzione. La separazione delle carriere è solo la naturale conseguenza dell’art 111, una conseguenza di buon senso», ha detto alCorriere. Se persino il simbolo di Mani Pulite ammette che l’accusa e il giudice non possono stare “nella stessa squadra”, forse il problema non è chi ha cambiato idea, ma chi non l’ha mai cambiata nonostante trent’anni di processi, riforme e controriforme.
Il segretario dell’Anm, Rocco Maruotti, ha replicato che «cambiare idea è legittimo per chiunque, anche per un magistrato… ma la riforma del Csm che il ministro Nordiopropone tradisce quelle stesse ragioni che nel 1995 spinsero l’ex pm Nordio a cambiare idea sulla separazione delle carriere». Ma davvero è questa la “campagna referendaria” che il sindacato delle toghe vuole mettere in campo? Rispolverare documenti d’archivio e contestare la coerenza di un singolo, invece di discutere i principi e gli effetti concreti della riforma?
Intanto ieri, dalla Cerimonia del Ventaglio a Montecitorio, il presidente della Camera Lorenzo Fontana ha gettato acqua sul fuoco, ma non troppa: «Mi piacerebbe la massima condivisione possibile ma non mi sembra questo il caso. Vedo complicato modificarla, richiederebbe ricominciare il procedimento da capo». Poi, quasi a voler apparire conciliante: «Mi auguro vengano dati i tempi giusti per analizzarla… Il testo non cambierà, sui tempi vedremo, mi auguro si possano prendere il tempo giusto per una riforma così importante». Traduzione: la riforma non si tocca, al massimo si allunga la pausa caffè per discuterne. Separazione delle carriere, indipendenza del pm, equilibrio tra poteri dello Stato: temi enormi, che dovrebbero meritare un confronto alto e non il ping pong su fogli ormai ingialliti. Se l’Anm pensa di vincere la battaglia a colpi di “tu prima la pensavi così”, rischia di fare un favore proprio a chi vuole approvare la riforma. Perché, alla fine, la domanda è semplice: conta davvero il Nordio del ’ 94? O conta il Paese del 2025?