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PALAZZO DELLA CONSULTA CORTE COSTITUZIONALE
La svolta non c’è stata, ma non si tratta neanche di una chiusura netta. Quella della Corte costituzionale sull’ipotesi eutanasia è una decisione “aperta”: i giudici dichiarano inammissibili le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Firenze sull’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente), ma senza pronunciarsi nel merito. Ovvero rilevando un difetto di motivazione da parte del giudice.
Questo vuol dire che la partita non è ancora chiusa. E non è un dettaglio da poco, se si considera che la Corte era chiamata ancora ad esprimersi sul fine vita, e per la prima volta sull’eutanasia, dopo la storica sentenza 242 del 2019 sul caso Cappato/Dj Fabo. Allora furono i giudici ad aprire un varco sul suicidio assistito, scrivendo le regole del fine vita. E qualcosa di simile sarebbe potuto accadere anche ora, proprio mentre il Parlamento discute una legge sul tema. Un fronte, questo, sul quale bisogna aprire bene gli occhi e le orecchie. Perché la sentenza numero 132 depositata oggi va letta su due livelli: per quello che dice e anche per quello che lascia intendere, quando parla per la prima volta di «diritto» connesso a un ruolo di garanzia del Servizio sanitario nazionale. Ma andiamo per ordine.
La decisione della Consulta scaturisce dal caso di “Libera”, una donna di 55 anni affetta da sclerosi multipla progressiva che chiede l’intervento di un medico di fiducia per la somministrazione del farmaco letale. Le quattro condizioni di accesso al suicidio assistito, per la sua richiesta, sono state già verificate con esito positivo. Ma “Libera” non potrebbe procedere all’assunzione autonomamente, perché è paralizzata dal collo in giù: un ostacolo “tecnico”, secondo il collegio difensivo dell’Associazione Luca Coscioni, che le “scipperebbe” un diritto determinando un’irragionevole discriminazione rispetto agli altri pazienti.
Di qui il ricorso d’urgenza al tribunale di Firenze, che lo scorso 30 aprile ha rimesso gli atti alla Corte certificando l’impossibilità di reperire sul mercato la strumentazione necessaria, cioè una pompa infusionale attivabile attraverso la bocca, gli occhi o un comando vocale. Dispositivi a cui ha fatto accenno anche il presidente emerito della Consulta Giuliano Amato, che nella sua audizione al Senato ha evidenziato come l’innovazione tecnologica finirà per equiparare il suicidio assistito all’eutanasia affidando l’atto finale a una macchina.
La Consulta sembra esserne consapevole, e non considera la questione che gli viene posta di per sé “implausibile”, ma ritiene che il Tribunale non abbia «motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, in merito alla reperibilità di un dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti». E questo perché oltre all’Asl che ha effettuato le ricerche, il giudice avrebbe dovuto consultare «organismi specializzati operanti, col necessario grado di autorevolezza, a livello centrale, come, quanto meno, l’Istituto superiore di sanità, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale». Nel “sostanziale difetto di un’attività istruttoria amministrativa o giudiziale”, dunque, la Corte invita ad approfondire l’indagine. E dichiara «prive di fondamento tutte le eccezioni sollevate dall’Avvocatura di Stato e dagli intervenuti», sottolinea l’Associazione Coscioni. Che dunque tornerà davanti al tribunale di Firenze per chiedere un’ulteriore verifica.
Fin qui il piano del diritto, a cui se ne somma uno politico. Perché con la stessa sentenza i giudici costituzionali affermano che la persona rispetto alla quale siano state verificate le condizioni di accesso all’opzione di fine vita «ha una situazione soggettiva tutelata, quale consequenziale proiezione della sua libertà di autodeterminazione, e segnatamente ha diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego». E ancora che al Ssn spetta «un doveroso ruolo di garanzia che è, innanzitutto, presidio delle persone più fragili».
Un messaggio, quest’ultimo, indirizzato al Parlamento, laddove il testo attualmente in discussione al Senato, relatori Pierantonio Zanettin (Forza Italia) e Ignazio Zullo (FdI), prevede l’esclusione della sanità pubblica. «A questo punto non ci sono più dubbi», dice il senatore del Pd Alfredo Bazoli, per il quale il ddl «dovrà essere necessariamente integrato con una espressa e chiara previsione del coinvolgimento del servizio sanitario nazionale. Come noi abbiamo ripetutamente chiesto». A vederla così è anche Stefano Ceccanti, costituzionalista ed ex parlamentare dem, il quale sottolinea come la Corte parli per la prima volta di “diritto”.
Il tutto mentre la maggioranza cerca il dialogo in vista del voto sugli emendamenti, che è slittato a settembre. Il nodo più duro da sciogliere resta proprio quello relativo al ruolo del Ssn, su cui Fratelli d’Italia non ha intenzione di cedere. Né sembra temere l’altolà della Corte, che a parere di Zullo «legittima la nostra proposta di legge» rafforzando «il diritto alla vita».