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Scritte sui muri contro il 41 bis
Esistono nelle nostre carceri dei luoghi che la legge non contempla, ma che la prassi amministrativa ha creato e continua a perpetuare. Si chiamano “aree riservate” e, al loro interno – come si apprende da una denuncia appena inviata al Garante nazionale per le persone private della libertà personale – si consumano quotidianamente violazioni sistematiche dei diritti umani più elementari. Parliamo di un super 41 bis, una restrizione che, negli anni passati, Il Dubbio ha già messo in evidenza.
La storia che emerge dalla lettera dell'avvocato Giuseppe Annunziata è quella di Oscar Pecorelli, 46 anni, nato a Napoli, la cui vicenda giudiziaria si è trasformata in un incubo kafkiano fatto di celle di 5,50 metri quadri, bagni a vista senza porte, cortili per l'aria aperta privi di servizi igienici e una solitudine forzata che rasenta l'isolamento totale. La storia inizia il 10 aprile 2025, quando Pecorelli viene sottoposto al regime del 41 bis. Dopo un primo periodo a Novara, dove era stato sistemato nel reparto “ordinario” (o meglio, il “classico” 41 bis), il 23 giugno scorso accade qualcosa di strano: viene improvvisamente spostato nell'area riservata. Nessun provvedimento dell'autorità giudiziaria, nessun decreto amministrativo. Solo una decisione presa dalla direzione del carcere.
Ma il motivo di questo trasferimento è forse ancora più inquietante della mancanza di un atto formale. Pecorelli non viene spostato per la sua “spiccata capacità criminale” – il presupposto teorico per finire in area riservata – ma semplicemente perché serve a ' fare gruppo' con un altro detenuto già in quella sezione. Nel gergo carcerario, spiega l'avvocato Giuseppe Annunziata con una crudezza che fa riflettere, questo fenomeno viene chiamato “dama di compagnia”. Una definizione che la dice lunga sulla strumentalizzazione della persona umana che si consuma tra quelle mura.
Una cella più piccola di un garage
Le condizioni in cui Pecorelli si trovava costretto a vivere a Novara sono descritte con precisione chirurgica nella denuncia. La cella dell'area riservata misura appena 5,50 metri quadri – circa la metà di una camera di detenzione normale. All'interno di questo fazzoletto di spazio convivono il tavolino con la sedia e un wc completamente a vista, senza pareti né porta a garantire un minimo di privacy. Ma è quando si esce dalla cella che la situazione diventa surreale. Il cortile per il passeggio è ' inagibile': non ha bagni, non ha acqua corrente, è privo di tettoia e di panchine. Le sue dimensioni? Appena un terzo del passeggio riservato agli altri detenuti del 41 bis.
Un paradosso nel paradosso: persino chi sconta il regime carcerario più duro previsto dall'ordinamento italiano gode di condizioni migliori rispetto a chi finisce in area riservata. La situazione di Pecorelli si complica ulteriormente per un dettaglio tragicomico: il detenuto con cui dovrebbe ' fare gruppo' – l'unica ragione per cui è stato rinchiuso in quell'area – non ha firmato il foglio di compatibilità. Inoltre, a causa di problemi di salute, è costretto su una sedia a rotelle e non può partecipare alle attività di socializzazione. Il risultato è un isolamento totale de facto, senza alcuna giustificazione giuridica e senza limiti temporali. Pecorelli è stato, nelle parole del suo legale, “murato vivo”.
La denuncia ricorda che una situazione analoga si era già verificata per un altro detenuto, Alessio Attanasio. In quel caso era dovuto intervenire il Magistrato di Sorveglianza dell'Aquila, che aveva dichiarato “non idonei” sia la saletta per la socialità che lo spazio destinato al passeggio, ordinando modifiche alle condizioni di detenzione. Un precedente che dimostra come il caso Pecorelli non sia isolato, ma parte di un sistema che sembra aver istituzionalizzato l'arbitrio.
Dopo l'intervento dell'avvocato Sara Peresson del foro di Udine, che aveva cercato di far luce sulla situazione con una Pec alla direzione di Novara, qualcosa si muove. La risposta della direzione, secondo la denuncia, “dava contezza della criticità della situazione” e dell'interessamento degli “uffici superiori”. Pochi giorni dopo, Pecorelli viene trasferito nel carcere dell'Aquila. Un cambiamento solo geografico: il giorno successivo arriva anche l'altro detenuto, e la situazione rimane identica.
Le aree riservate ospitano decine di detenuti in tutta Italia e non hanno alcuna base normativa. Il Garante nazionale per le persone private della libertà ne ha chiesto più volte l'abolizione, mentre il Comitato per la prevenzione della tortura ha denunciato il ' quasi isolamento' che caratterizza questo regime speciale. Le condizioni prevedono un accesso limitato all'aria aperta, una socializzazione minima e la possibilità di accedere solo a spazi angusti.
In alcune carceri questa situazione si traduce in un isolamento totale. L'avvocato Annunziata non usa mezzi termini nella sua analisi giuridica. La situazione di Pecorelli configura una “grave violazione dell'articolo 27, terzo comma, della Costituzione”, quello che stabilisce che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ma la violazione non è solo costituzionale. Nella denuncia si parla esplicitamente di “ipotesi di trattamento contrario al senso di umanità e del reato di tortura”, con la minaccia di presentare denuncia all'autorità giudiziaria se la situazione dovesse persistere.
Il caso Pecorelli solleva interrogativi che vanno ben oltre la sua vicenda personale. Come è possibile che, nel 2025, in un Paese civile, esistano ancora zone franche dove i diritti fondamentali vengono calpestati quotidianamente? Non c'è una legge che le preveda, non ci sono regolamenti che ne disciplinino il funzionamento. Sono creature della prassi amministrativa, zone grigie dell'ordinamento penitenziario dove vigono regole non scritte. Più volte il Garante nazionale precedente, sotto la presidenza di Mauro Palma, ha messo all’indice tale punizione che risulta essere, di fatto, un super 41 bis.
Dello stesso avviso è il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, che ha denunciato il “quasi isolamento” caratteristico di questo regime speciale. Non basta il 41 bis, che ha già misure fin troppo afflittive e che spesso esulano dallo scopo originario? Come si può accettare che decine di persone vivano in condizioni che lo stesso sistema giudiziario definisce “inumane e degradanti”? La denuncia dell'avvocato Annunziata è un grido d'allarme per tutto il sistema. Perché se è vero che la misura della civiltà di un Paese si vede da come tratta i suoi detenuti, allora le aree riservate rappresentano un'ulteriore macchia indelebile.