Non appare esagerato, ormai, asserire che il pressing di Giuseppe Conte sul fronte del riarmo stia regolarmente orientando le scelte di Elly Schlein e della maggioranza del Partito democratico. Non è una rincorsa dichiarata, ma il segnale è chiaro: la segretaria dem ha deciso di presidiare il fronte alla sua sinistra, cogliendo la palla al balzo del dissenso di Pedro Sánchez sull’aumento delle spese Nato, per posizionarsi a sua volta con toni fortemente antimilitaristi e per alzare l’asticella dello scontro con Ursula von der Leyen. Ma, a differenza dell’ex premier M5S, Schlein è frenata dai vincoli dell’ala riformista, dal peso dell’appartenenza alla maggioranza europeista e, soprattutto, dallo sguardo vigile del Quirinale.

«Meloni fa un regalo all’amico Trump. Doveva dire no al 5% come Sánchez», ha dichiarato la leader dem, accusando la premier di sacrificare l’interesse nazionale per compiacere i suoi alleati sovranisti. La linea è chiara: usare il caso Nato come leva per marcare distanza dal centrodestra e avvicinarsi all’onda lunga del pacifismo movimentista. Ma a dettare il ritmo è Conte, che da giorni cavalca la retorica contro la «folle corsa al riarmo» e ha lanciato una raccolta firme per svegliare Bruxelles. «Un milione di cittadini europei per fermare il warfare e salvare il welfare», promette. Una mossa da campagna permanente, che serve anche a stanare il Pd: «Registro voci difformi, serve una sintesi chiara contro il bellicismo dei sovranisti della domenica».

In questa partita Conte ha le mani libere: può attaccare frontalmente von der Leyen, lanciare iniziative pan- europee, denunciare gli «800 miliardi per il riarmo europeo» come follia contabile e politica, e suggerire che Meloni stia firmando «una resa» senza trattativa. Più il Pd si avvicina, più resta impigliato nei propri limiti. L’ambiguità della linea europea, la prudenza di Dario Nardella che distingue tra «voto contrario su singoli provvedimenti» e «uscita dalla maggioranza», il tentativo di tenere insieme tutto. «No al riarmo nazionale, sì a una vera difesa comune finanziata con debito europeo», dice l’europarlamentare dem. Ma nel frattempo Conte guadagna metri e visibilità.

Il capo del M5S può permettersi di parlare a nome di un fronte progressista anti- bellico senza preoccuparsi di trattative con il Ppe o con i liberali. Può rivendicare di aver aumentato la spesa militare quando era a Palazzo Chigi, ma «in modo proporzionato», e contrapporre a ogni euro per le armi miliardi per sanità e scuola. Può definire il patto sul 5% con la Nato «un irresponsabile tradimento dell’interesse nazionale» e accusare Meloni di populismo bellico. E può affondare il colpo anche sulla Commissione Ue, descritta da Tridico come «già di destra dal primo giorno», schierata su difesa, tassazione, ambiente e migranti.

Schlein osserva, replica, rilancia. Ma è un gioco a incastri: la sua sinistra la incalza, il Quirinale non smette di mandare segnali. Sergio Mattarella, in questi giorni, non ha mai evocato direttamente il tema, ma più di una fonte parlamentare segnala il fastidio per una linea Pd che rischia di disallinearsi dalle responsabilità internazionali dell’Italia. È lo stesso Mattarella che ha sempre ricordato come la sicurezza sia un presupposto di pace, e che osserva con attenzione ogni parola pronunciata dal Nazareno in chiave atlantica. In gioco c’è la credibilità estera del Paese, e la collocazione dell’Italia nello scacchiere Nato-Ue in un momento delicatissimo. Nel frattempo, il Movimento 5 Stelle non si limita a protestare. Oltre alla raccolta firme, prepara una convention progressista a Roma per l’autunno. «Non c’erano forze anti- europee all’Aja, ma un embrione di alternativa politica che vuole dare una sveglia alla von der Leyen», ha detto Conte. Il fronte si allarga, coinvolge ecologisti e sinistra sociale, e spinge anche sul terreno simbolico: «Le rinnovabili non bombardano» è lo slogan rilanciato dalla deputata pentastellata Ilaria Fontana, che lega transizione energetica e politica di pace. Un attacco frontale alla logica degli arsenali, ma anche un messaggio diretto a chi, nel Pd, non può più permettersi ambiguità.

Lo stesso Tridico, capodelegazione M5S in Europa, ha invocato un gesto netto dai socialisti: «È ora di staccare la spina alla Commissione. Von der Leyen ha tradito il Green Deal, ha dato mano libera a Meloni e ha piegato Bruxelles sulla difesa». Non è una voce isolata, e anzi risuona come un invito a Schlein a smettere di mediare e iniziare a scegliere.

Il vero nodo, insomma, è nella diversa libertà d’azione. Conte costruisce un fronte, lancia iniziative, detta la linea. Il Pd invece annuncia distinguo: voti contrari mirati, nessuno strappo definitivo, timide aperture a una difesa comune europea. E mentre il M5S batte il ferro dell’opposizione identitaria, Schlein deve ancora decidere se tenere la posizione o alzare il tiro. Sapendo che, se sceglierà lo scontro aperto con von der Leyen, dovrà farlo sotto lo sguardo del Colle. E con Conte, un passo più avanti.